Tube chiuse – Cuore aperto

L’impressione è che a volte la “cattolicità” finisca per “prendere fischi per fiaschi” e perda di vista ciò che invece solo noi, come cristiani, custodiamo come profonda verità dell’uomo-donna.

Mi riferisco al caso della giovane donna fitness influencer che ha fatto sapere, a qualche anno di distanza, che si è fatta togliere le tube per il terrore di una gravidanza (sì, ha proprio detto “terrore”).

Capisco che la notizia sgomenti non poco e faccia emergere a caldo pensieri, sentimenti, interrogativi morali, ma soprattutto giudizi personali.

Che però questi sentimenti diventino un pretesto perché chiunque si senta in dovere di commentare e che questa notizia, che è poi la storia di una persona in carne e ossa, venga usata da alcuni per puntare il dito e rivendicare i propri valori morali, mi dispiace molto.

E mi dispiace che questo atteggiamento venga proprio dai cattolici, perché credo ci sfugga qualcosa.

Se una giovane donna rifiuta, per paura, la sua identità più profonda e la sua vocazione più intima, non può essere soltanto un capriccio; se una giovane donna ha così terrore di una gravidanza da compiere un atto così aggressivo verso sé stessa, ovvero l’asportazione di una parte del suo corpo, non è solo egoista, come lei stessa dice di sé.

È una donna profondamente ferita, ferita nella sua storia, ferita nella sua femminilità, ferita rispetto al suo corpo, non a caso infatti è un’influencer che si ciba della propria immagine e di sport (non che lo sport in sé sia negativo, ma quando se ne è schiavi sì, come tutte le cose che condizionano la propria libertà).

Cosa voglio dire: non possiamo essere così superficiali da non tener conto del fatto che questa “scelta” non può che essere frutto di una profonda ferita che riguarda sicuramente la storia di questa persona: che idea di femminilità e di maternità avrà respirato nella sua famiglia? Come mai ha così terrore di una gravidanza? Che esperienza ha avuto per arrivare a ciò? Da cosa si sta difendendo?

Ma non solo: forse ci dimentichiamo troppo spesso che esiste una ferita del nostro cuore che si chiama peccato originale. Piaccia o meno, tutti ne portiamo il peso e ne vediamo le conseguenze nella nostra vita, chi in maniera più evidente chi meno. Ma tutte, se siamo oneste, dobbiamo ammettere di avere qualche difficoltà rispetto al nostro corpo (sbaglio o tutte abbiamo almeno un punto del nostro corpo che vorremmo diverso?) e rispetto alla nostra femminilità (o siamo tutte donne mature e perfettamente risolte?).

Ecco, allora facciamo un passo indietro e riconosciamo ciò che dice Giovanni Paolo II: il peccato ha portato ad una frammentazione della nostra persona, ha portato nella nostra vita tante paure, ha portato ad una difficoltà di immedesimazione col nostro corpo, ha portato ad una femminilità (e mascolinità naturalmente) decadute. È un dato di fatto: ci confondiamo su noi stessi.

Così dice Edith Stein, filosofa molto cara a Giovanni Paolo II e che lui stesso ha canonizzato nel 1998: “è importante che la natura della donna sia sviluppata nella sua purezza; il che non è assolutamente ovvio, anzi si può perfino dire che ciò si verifica solo in circostanze del tutto particolari. A causa del peccato originale infatti, anche sulla predisposizione femminile, come sulla natura umana nel suo complesso, grava una macchia che ne ostacola uno sviluppo puro e che, se non contrastata, porta a una degenerazione tipica.”

È così, tutte noi lottiamo con la degenerazione tipica della femminilità, che ha tante derive e sfumature, anche opposte tra loro, e si può dire che Francesca, questo il nome della giovane, ne sia un esempio estremo.

Questo però non ci dà il diritto di giudicarla (anche se non approviamo ciò che ha fatto) perché sotto questa storia si nasconde certamente un dolore e si nasconde una ferita ontologica da cui, in vari modi, siamo tutti toccati e che oscura la nostra verità.

Non provo rabbia nei tuoi confronti Francesca, anche se io non posso avere figli e tu di questa possibilità hai voluto privarti, perché sei vittima inconsapevole della tua storia, di una società decaduta e di una ferita profonda del cuore di cui forse nessuno ti ha mai parlato. Proprio come forse nessuno ti ha mai annunciato che per questa ferita c’è un rimedio. il rimedio è Cristo, medico dell’infinita tenerezza, che è venuto per sanare questa ferita e condurci alla pienezza della nostra identità.

Provo compassione e tenerezza per te Francesca, e spero che un giorno tu possa fare pace con la tua storia, con il tuo corpo, con la tua femminilità, e trovare il tuo modo di essere madre, che sai, non passa solo attraverso il corpo ma soprattutto attraverso il tuo cuore che quello sì, lo puoi sempre aprire alla vita, se vorrai.