Alza il volume dei tuoi desideri

Sappiamo di esistere come esseri desideranti, ma forse non ci abbiamo mai dato troppa importanza.

Non passa giorno in cui nel nostro cuore non affiori qualche desiderio. Desideriamo un sacco di cose, cose importanti: un fidanzato, una casa, un figlio, un lavoro… e cose più frivole: un nuovo paio di occhiali, un aperitivo con gli amici, qualche like in più sui social… Raramente però ci sfiora il sospetto che, in filigrana, sotto tutta questa selva di desideri con la “d” minuscola, esista nel nostro cuore un desiderio con la “D” maiuscola, di cui tutti gli altri sono solo un lieve riflesso.

Può capitare di avvertirne la presenza di fronte all’immensità di un cielo stellato, o traportati dalle note di certa musica. Oppure possiamo accorgercene in quelle notti in cui non riusciamo a dormire e ci ritroviamo immersi nel silenzio della nostra stanza, accompagnati soltanto dal battito del nostro cuore. È lì che oltre il brusio delle ordinarie preoccupazioni quotidiane, possiamo percepire il grido angosciato che sale dal nostro cuore.

Percepiamo la disperazione per la nostra piccolezza, per la nostra precarietà, per il tempo che passa, per il nostro bisogno… Ci accorgiamo che, in fondo, nonostante il contratto a tempo indeterminato, nonostante l’auto nuova, la bellissima vacanza, ecc… il nostro cuore è ancora in attesa, ma in attesa di cosa?

Diceva Cesare Pavese: «Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?»

Queste esperienze ci rivelano che sotto la superfice della nostra quotidianità, dei nostri piccoli desideri, esiste un Desiderio più profondo, una melodia che non riusciamo a identificare pienamente. Un po’ come di fronte a quegli antichi bassorilievi resi irriconoscibili dall’erosione del tempo, percepiamo qualcosa, ma non riusciamo ad afferrarne il senso.

Tutti almeno una volta abbiamo percepito questa attesa, tutti, in fondo, abbiamo avvertito il presentimento di essere al mondo per qualcosa di grande e il timore di accontentarci della mediocrità. Tutti, a ben vedere, viviamo nell’aspettativa che la nostra vita dovrebbe trovare un senso e portarci ad una pienezza, ma da dove viene questa attesa? E soprattutto cosa ne facciamo di questa attesa del cuore?

Platone ha chiamato questo desiderio del cuore umano eros e lo descrive come quella forza interiore inquieta, che trascina l’uomo verso tutto ciò che è buono, vero e bello.

Ed è curioso che nella mitologia greca l’eros sia rappresentato come un essere alato armato di arco e frecce: il nostro eros non solo ci può portare in alto, ma ha un bersaglio da raggiungere, ha un orientamento, una direzione… ma quale direzione? Quale bersaglio?

Nella cultura ipersessualizzata in cui viviamo, abbiamo fatto coincidere l’eros con il desiderio sessuale, e abbiamo orientato il nostro eros esclusivamente verso la gratificazione individuale (il piacere). Abbiamo creduto che bastasse avere sesso “on demand” h24 per saziare la sete del nostro cuore, eppure ci ritroviamo sempre più infelici e sempre più soli.

Certamente l’eros ha in sé un’incancellabile connotazione sessuale di cui dobbiamo tenere conto, ma è molto più di questo. Esso ha a che fare con un’intima attesa di pienezza, di vita, di bellezza scritta nella nostra umanità.

Il desiderio sessuale è però il desiderio che più intensamente ci parla di questa chiamata, è forse il volto più incarnato ed impetuoso di questo grande anelito del cuore, eppure tante volte lo trattiamo come un banale istinto da sfogare.

Il desiderio sessuale ci rivela che siamo in attesa, che siamo in cerca di qualcun altro che dia un senso alla nostra vita. E tutto questo lo troviamo scolpito in modo indelebile nei nostri corpi: i nostri organi sessuali raccontano l’attesa di un incontro con qualcuno di differente e complementare.

Ciò nonostante, anche quando questo incontro avviene, l’attesa non è mai risolta definitivamente, il nostro eros non si placa, non smette di desiderare.

Perché dopo aver fatto l’amore con la persona che ami il tuo cuore non è sazio?

Perché dopo aver messo su famiglia, dopo aver generato due, tre, cinque figli il tuo cuore ha ancora sete?

Qualcuno pensa che il problema sia il partner, qualcun altro che sia un problema di posizioni o di fantasie erotiche da soddisfare, altri incolpano la monotonia del quotidiano… sono molto pochi coloro che rintracciano nel loro cuore un mistero più profondo.

Oggi si parla molto di diversi possibili “orientamenti sessuali”, ma in fondo l’unico vero e definitivo orientamento della sessualità umana, del nostro eros, è il desiderio di infinito che portiamo nel cuore.

Diceva papa Benedetto XVI: «Ogni desiderio che si affaccia al cuore umano si fa eco di un desiderio fondamentale che non è mai pienamente saziato. […] l’uomo è cercatore dell’Assoluto, un cercatore a passi piccoli e incerti».

Purtroppo, in tanti ambienti cristiani, il tema del desiderio è stato spesso amputato, messo da parte, come qualcosa di superfluo e pericoloso, inconciliabile con una religiosità seria ed adulta. Abbiamo presentato la fede come un freddo codice di comportamento: un lungo elenco di cose da non fare (una lista piuttosto lunga e che ha a che fare anche con cose piacevoli) e un elenco di cose da fare (di solito più breve e che ha a che fare con pratiche religiose che sembrano non avere niente da spartire con i nostri desideri) e abbiamo avuto il coraggio di chiamare tutto questo la “buona notizia” del Vangelo.

Da questo punto di vista appare forse più comprensibile l’ininterrotta emorragia di giovani dai nostri ambienti parrocchiali. Perché dovrebbe affascinare una fede di questo tipo, incapace di sintonizzarsi con le attese profonde del nostro cuore? Come potrebbe affascinare una fede che non invita a cercare?

Eppure, le prime parole che Cristo ci rivolge nel vangelo sono: «Che cercate?» (Gv 1, 38) Allora chiediamocelo anche noi: Cosa sto cercando? Cosa sto attendendo? Cosa desidero veramente? Dove è diretto il mio eros?

Tutte queste domande, tutta questa focosa inquietudine che portiamo nel cuore, è in realtà la strada per incontrare il Dio della Vita.

Perché attendiamo allora?  Possiamo dirlo: perché in fondo sappiamo che Qualcuno ci sta cercando!

Ce lo ha gridato Giovanni Paolo II a Tor Vergata venti anni fa: «è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; […]. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande».

E lo ha ripetuto pochi mesi fa anche Papa Francesco: «Dio non ha smesso di chiamare, anzi, forse oggi più di ieri fa sentire la sua voce. Se solo abbassi altri volumi e alzi quello dei tuoi più grandi desideri, la sentirai chiara e nitida dentro di te e intorno a te».

Allora ringraziamo per questo nostro cuore inquieto e alziamo il volume.

Ho bisogno della tua Presenza

Franco Battiato si è spento poche settimane fa.

Noi non siamo grandi esperti di musica, ma riconosciamo che Battiato, da vero artista, con la sua musica ha saputo trovare il modo di portarci oltre, di aprirci al mistero, toccando le profondità dell’umano.

Un’ultima piacevole scoperta che abbiamo fatto nel suo repertorio e che vi invitiamo a riascoltare è L’ombra della luce dove l’intensità della musica si sposa ad una specie di supplica verso Dio: «Non abbandonarmi mai». In questa canzone si respira una pace profonda, si coglie la certezza di una presenza oltre tutte le cose, di una luce che dà senso e bellezza alla vita, si respira l’attesa di una beatitudine infinita di cui tutte le gioie dell’amore e dei sensi non sono altro che un lieve bagliore… appunto «l’ombra della luce».

Senza dubbio però il suo brano più significativo per noi resta E ti vengo a cercare, scoperto per caso quando ancora eravamo fidanzati, nel pieno del nostro innamoramento. (vedi foto)

Recentemente qualcuno ci ha chiesto di raccontare come è nata la nostra storia d’amore (un abbraccio ad Alberto e Alessandra) ed è curioso che nel fare memoria del nostro fidanzamento mi siano tornate alla mente proprio le parole di questa canzone.

Quando l’ho ascoltata per la prima volta circa sedici anni fa, per me è stato incredibile… sono rimasto a bocca aperta, perché mi sono sentito leggere dentro.

E ti vengo a cercare

Anche solo per vederti o parlare

Perché ho bisogno della tua presenza

Per capire meglio la mia essenza.

Sentivo dare voce e volto ai moti interiori del mio cuore, che aveva da poco scoperto di non riuscire più a fare a meno di Giulia. Sperimentavo come lei fosse misteriosamente entrata nel mio cuore, non riuscivo a non pensare a lei, non riuscivo a cambiare «l’oggetto dei miei desideri»… ed era bellissimo essere ricambiato.

Avevamo scoperto un legame profondo, inaspettato, qualcosa che ci univa intimamente, come condividessimo davvero le stesse radici, pensati insieme da sempre in un disegno più grande di noi.

Immersi nell’amore, ci cercavamo perché avevamo gustato come la presenza dell’altro fosse davvero in grado di svelarci di più a noi stessi: passavamo ore intere a parlare, ad ascoltarci, curiosi di scoprire cosa pensava l’altro, come vedeva il mondo, la vita, il futuro…  

Davanti a noi si spalancava un orizzonte di bellezza… come se fossimo avvolti in qualcosa di più grande.

L’amore con il suo mistero, con le sue «meccaniche divine», ci stava piano piano rivelando la nostra identità e il nostro destino: Io sono per te! Tu sei per me! Siamo un dono l’uno per l’altro. Insieme chiamati ad essere “uno” nell’amore.

Oggi, a distanza di molti anni, riascoltare questa canzone mi commuove ancora, ma non è semplice nostalgia del periodo inebriante dell’innamoramento, è piuttosto la viva meraviglia di fronte al mistero grande dell’amore.

Certo oggi è più forte la tentazione di dare l’altro per scontato, di pensare di conoscerlo, di non avere bisogno della sua presenza per capire meglio me stesso, eppure non posso non riconoscere come in questi anni la presenza di Giulia con la sua femminilità (e con tutte le differenze e le tensioni che ciò comporta) è stata un dono insostituibile per il mio cammino di uomo, uno dono di cui non posso e non voglio fare a meno.

In più, essendo oggi più consapevole di allora sul mistero racchiuso nel sacramento del matrimonio posso gustare ancora più profondamente quanto l’amore sia davvero «un’immagine divina» del mistero di Dio, per noi cristiani dell’amore del Padre rivelato in Cristo. Un amore che, ci stiamo accorgendo ogni giorno di più, non ha a che fare col romanticismo, bensì col mistero Pasquale, ovvero con il dono concreto e quotidiano della vita.

Ma ancora di più, oggi posso riconoscere in questa canzone non soltanto una stupenda celebrazione dell’amore umano, ma anche i tratti nitidi di una preghiera. Riesco a vedere queste parole non solo rivolte alla donna che amo, ma anche a Cristo, perché sento sempre più intimamente come solo la Sua presenza, può condurmi alla verità di me stesso.