Cinema & teologia del corpo: Diamanti

Riprendiamo una rubrica che avevamo iniziato molto tempo fa e che ha lo scopo di rileggere alcuni “prodotti” culturali attuali attraverso le lenti della teologia del corpo. (qui trovate la rubrica dedicata)

Il film Diamanti di Ozpetek, a quanto pare, è stato il film italiano più visto del 2024 e questo ci sembra un buon motivo per spendere due parole non tanto da critici d’arte cinematografica (ovviamente non lo siamo) ma appunto per fare qualche riflessione alla luce della teologia del corpo a proposito del tema che emerge dal film.

Una delle caratteristiche peculiari della pellicola è il fatto che il regista abbia diretto un cast di 18 attrici e che le figure maschili presenti abbiano ruoli per lo più marginali o negativi, proponendosi così come un film che ha come protagonista il femminile.

La trama, infatti, si snoda nella Roma degli anni ’70, all’interno di una sartoria di alto livello che confeziona abiti di scena per il cinema e per il teatro, e che ha il vanto di lavorare con premi Oscar e famose personalità dello spettacolo. La sartoria Canova, così si chiama, è gestita da due sorelle, Alberta e Gabriella, che hanno alle loro dipendenze un nutrito gruppo di donne delle quali il film ci offre alcuni scorci della loro vita privata.

Ciò che emerge nel complesso è per molti aspetti un ribaltamento del mondo a cui siamo abituati: il sesso forte infatti è il femminile e non il maschile e ciò si riflette in tutta una serie di situazioni che vediamo “capovolte” rispetto a ciò che è stato (e per certi versi è ancora) il rapporto tra i sessi nel nostro contesto socio-culturale.

Ad esempio, in questa azienda di famiglia sono tutte donne tranne il segretario, che viene “comandato” a bacchetta da Alberta; il segretario è anche amante di una dipendente molto più anziana di lui; la “poligamia” è al femminile, vissuta da un’altra dipendente che ha una relazione con due uomini contemporaneamente; i maschi giovani e aitanti che compaiono nell’ambiente di lavoro come facchini o poco più, sono oggetto di battute a doppio senso e anche di un certo scherno che li riduce a oggetti sessuali; e infine viene commesso un “maschicidio”.

Questo ribaltamento ottiene il suo effetto perché fa riflettere, ma rischia di sembrare solo una rivendicazione da parte femminile, di un ruolo dominante che, alla fine, ricade negli stessi errori commessi dal patriarcato e dal maschio-centrismo della nostra società: prevaricazioni e ingiustizie, questa volta prevalentemente dal femminile al maschile.

Può esserci invece un altro modo?

Giovanni Paolo II afferma che nel Disegno di Dio l’essere umano è creato come maschio e femmina per vivere in comunione, ma dopo il peccato la differenza sessuale è divenuta un problema e l’essere umano si concepisce soltanto come maschio o femmina.

In questa differenza di lettera – la “e” sostituita dalla “o” – c’è un cambiamento radicale: significa che, se prima della ferita del peccato, uomo e donna erano consapevoli del dono che erano uno per l’altra, della loro pari dignità e del fatto che la loro differenza fosse per la comunione, dopo il peccato tutto ciò cambia profondamente. Appare infatti il dominio reciproco: la relazione uomo-donna cioè appare perturbata dal sospetto, dalla minaccia di appropriazione, e la differenza è vissuta come competizione e come ostacolo all’alleanza.

Giovanni Paolo II ci dice, cioè, che il patriarcato e il maschilismo (così come anche il femminismo e le sue derive) non sono solo un problema socio-culturale, ma sono innanzitutto effetti della ferita che porta il cuore umano che, se lasciato a se stesso, non è in grado di amare né di recuperare e vivere in pienezza la relazione uomo-donna, a qualsiasi livello, sia di coppia che nella società.

Ecco allora che abbiamo tutti bisogno di redenzione, cioè di lasciar trasformare il nostro cuore da Cristo perché accada in maniera autentica e profonda ciò che succede alla fine del film, ovvero che tutti i conflitti trovano una riconciliazione: le sorelle Canova riescono a condividere i propri dolori e questo permette loro di ritrovarsi e fare di nuovo squadra, la rivalità tra due attrici si risolve in una ammirazione e stima reciproca, il rapporto tra le titolari della sartoria e le dipendenti diventa sorellanza e collaborazione tanto da creare in poco tempo un abito meraviglioso per un film che sarà girato il giorno successivo.

Infine, anche il rapporto uomo – donna, che cogliamo nei personaggi della costumista e del regista, che nel corso del film hanno una furiosa litigata proprio sull’abito sopracitato, trova pace nel momento in cui Stefano Accorsi, che interpreta il regista, si rivolge a Bianca Vega, la costumista premio Oscar, senza arroganza, prepotenza o competizione, ma chiedendole con garbo e sincero interesse, la sua preziosa collaborazione.

Ecco come dovrebbe essere il rapporto uomo-donna: un rapporto di stima reciproca dove la differenza dell’altro è vissuta come arricchimento e non come occasione di prevaricazione o di competizione. Solo accogliendo il dono costituito dal contributo insostituibile dell’altro sesso, quel “film” che è la nostra vita e che è la nostra società, potrà trasformarsi in un autentico capolavoro.

4 MODI PER FARE EDUCAZIONE SESSUALE AI TUOI FIGLI (SENZA PARLARE)

Per fortuna ci sono ancora genitori che si preoccupano dell’educazione sessuale dei propri figli.

Sebbene noi di figli non ne abbiamo, più volte ci sono stati chiesti consigli al riguardo. Le domande spaziavano da «a quale età bisogna iniziare a parlare loro di sesso» fino a «cosa dire a tuo figlio quindicenne che fa uso di pornografia». Probabilmente però la domanda più ricorrente è quella sugli strumenti: «avete del materiale che spieghi come parlare ai figli di sessualità?».

E forse il punto cruciale è proprio questo: parlarne. Ma è solo un problema di come e quando parlarne? È solo un problema di cosa dire? Vediamo di ragionarci un po’ insieme.

Intanto vale la pena sottolineare che va apprezzata questa preoccupazione da parte dei genitori.

Non è scontata: c’è chi si limita a raccomandare l’uso del preservativo (per i figli maschi) e a far prescrivere dal ginecologo la pillola contraccettiva (per le figlie femmine). E crede che sia sufficiente così, tanto al genitore in questione mica gliel’ha insegnato qualcuno come funziona quella roba lì, e tutto sommato se l’è cavata, perché non dovrebbe funzionare così anche per suo figlio/a? (che poi bisognerebbe capire cosa vuol dire che “se l’è cavata”).

E poi c’è il genitore che invece, al comparire del primo fidanzatino della figlia quattordicenne che fino al giorno prima pensava solo ai compiti e alle amiche, va nel panico totale perché il tema dell’affettività e della sessualità gli si paventa davanti all’improvviso come un mostro brutto e cattivo che si presenta senza appuntamento, ma che chiede di essere affrontato. E davanti al quale il genitore in questione si sente terribilmente disarmato.

Ancora, c’è il genitore, per lo più di estrazione cattolica, che vorrebbe tanto parlare di affettività e sessualità al proprio preadolescente o adolescente, ma proprio non sa come fare: vorrebbe trovare le parole ad effetto e gli esempi giusti per trasmettere valori, grandi proposte e ideali, ma non sa da dove cominciare, perché nessuno lo ha mai fatto con lui e l’imbarazzo lo paralizza. E quindi spera tanto che l’argomento venga affrontato in parrocchia, a scuola – a certe condizioni – insomma, spera tanto che qualcuno lo faccia al posto suo, o almeno che gli fornisca gli strumenti, le parole, un piccolo vademecum, qualsiasi cosa, per potersi barcamenare in questa impresa che sente completamente fuori dalla sua portata.

Poi ci sono i genitori che sanno esattamente come cavarsela e quindi non hanno bisogno di leggere questo articolo (o forse sì?).

Cari genitori, capiamo bene la vostra preoccupazione, ma abbiamo una buona – speriamo – notizia per voi. L’educazione sessuale dei vostri figli inizia molto, ma molto prima che il mostro di cui sopra vi bussi alla porta, e una grande parte di questa educazione non richiede sforzi o particolari competenze perché non riguarda cosa dire, né come dirlo, ma riguarda ciò che voi stessi trasmettete con la vostra vita, senza bisogno di discorsi ad effetto o parole di persuasione.

È vero, ci sono tante altre cose che i figli imparano fuori dalle mura di casa o sul web, ma la “parola fatta di carne” che vedono in voi, come singoli e come coppia, è solo vostra, e in quanto tale, insostituibile.

Ecco allora 4 punti su cui potete riflettere innanzitutto per voi stessi e poi per l’impatto che questo ha sull’apprendimento esperienziale dei vostri figli.

1) Come mi sento rispetto al tema della sessualità?

È una domanda importante perché riguarda il tono emotivo con cui, come adulto, mi approccio all’argomento. Se sono a mio agio in questa dimensione della vita infatti, sarò meno spaventato, meno imbarazzato, meno a disagio nel parlarne. Questo permette innanzitutto che la sessualità non sia un argomento tabù in famiglia, ma che possa essere un argomento di conversazione sereno, aperto, senza creare momenti di imbarazzante silenzio o una sottile sensazione di colpa o inadeguatezza. Sereno e aperto non significa rinunciare alla grande dignità e intimità che questo argomento richiede, ma far sì che non alimenti il senso del “proibito” sollecitando emozioni quali la paura (ad esempio la paura di sentire, la paura del piacere, la paura dell’altro sesso…) o il senso di colpa rispetto a sensazioni, risposte corporee, emozioni, del tutto fisiologiche e normali.

Allora, più io come singolo e noi come coppia viviamo bene questa dimensione della nostra vita, più sarà facile trasmettere un messaggio positivo ai nostri figli, un messaggio che passa soprattutto dal sentire e che rende le nostre – eventuali – parole, credibili.

2) Che uomo/che donna sono? Cosa trasmetto rispetto alla mascolinità e alla femminilità?

Educazione sessuale significa anche educare al maschile e al femminile.  È interessante e utile allora, chiedersi che messaggio stiamo trasmettendo rispetto a questo. Come donna e madre, cosa sto trasmettendo ai miei figli, femmine o maschi che siano, rispetto alla femminilità? Cosa mostro loro rispetto all’essere donna? E rispetto alla mia relazione con il maschile? Lo valorizzo o lo svaluto? Le stesse domande valgono anche al maschile, naturalmente.

È un discorso un po’ complesso e variegato ma possiamo tentare di semplificarlo con un esempio, in questo caso al femminile.

Se sono una donna che tendenzialmente subisce nella relazione e si mette sempre in disparte e in secondo piano rispetto al marito, trasmetto un certo tipo di femminilità, che ha in sé questi tratti, e che ha un impatto, per lo più inconsapevole, sui figli. Una figlia femmina, ad esempio, potrebbe ribellarsi a questo modello in maniera rigida, senza potersi mai permettere una posizione conciliante col maschile, oppure potrebbe ricreare la stessa dinamica legandosi a un uomo che la sminuisca e la “domini”.

Ma ciò non vale solo per le figlie femmine: come donna, il mio modo di incarnare la femminilità ha un impatto anche su un eventuale figlio maschio. Infatti, nel nostro esempio, ciò potrebbe condizionarlo sullo sguardo (seppur inconsapevole) che egli avrà rispetto alle donne e alla sua relazione con esse: ad esempio questo figlio, una volta adulto, potrebbe aspettarsi lo stesso atteggiamento di subordinazione da una futura compagna, proprio in quanto donna.

Insomma, il modo in cui come genitori incarniamo la femminilità e la mascolinità, fornisce dei messaggi (impliciti tante volte) su cosa significa essere un uomo e una donna, e questo è un tema fondamentale dell’educazione sessuale, oggi sempre di più.

3) Cosa mostrate/rivelate sul tema della coppia e dell’amore?

Strettamente legato al punto precedente, questo riguarda proprio la vostra relazione di coppia. Che tipo di coppia siete? Una coppia che si ama o che si sopporta? Una coppia dove ciascuno ha i propri spazi o siete una coppia fusionale? Una coppia dove c’è stima reciproca o velata indifferenza? Come vi relazionate l’un l’altro? Con affetto o con freddezza? Cosa circola tra voi rispetto alla vostra unione: rassegnazione o gioia?

Purtroppo o per fortuna tutti questi aspetti trasmettono un messaggio sulla relazione di coppia e su che cos’è l’amore.

Fare esperienza di due genitori che si amano, si rispettano, si dimostrano stima reciproca e si sostengono nei propri progetti personali, fornisce un vocabolario affettivo fondamentale per i figli, fornisce loro un paradigma interiore incancellabile che rimane, nonostante tutti gli altri messaggi che incontreranno nella loro vita. Rimarrà loro dentro l’impronta di come il padre guardava con ammirazione la madre, di come la madre si rivolgeva con tenerezza al padre, di come, per amore, lui si faceva carico di un lavoro domestico e di come lei lasciava a lui, per amore, dello spazio personale per ricaricare le batterie.

In questo caso, l’esperienza che i vostri figli fanno, li tocca molto più di qualsiasi discorso ben confezionato.

4) Come esprimete l’amore attraverso il linguaggio del corpo?

Diretta conseguenza del tema precedente, ma non solo, è l’espressione dell’affettività, soprattutto per quanto riguarda i gesti. Ad esempio, fare esperienza di un padre che non ha paura di abbracciare, accarezzare o baciare la propria donna (e i propri figli naturalmente, ma questo è un altro piano) è una trasmissione fondamentale che passa dal comportamento e non dalle parole. Spesso, quando manca, i figli faticano a farlo a loro volta, e non è questa una parte importante dell’educazione alla sessualità? I gesti della sessualità non sono solo quelli che riguardano il rapporto sessuale: la sessualità è fatta di tantissimi altri gesti quotidiani, che nutrono la coppia di tenerezza, intimità e complicità, e che sono quindi “i preliminari dei preliminari”.

Troppo spesso forse la preoccupazione educativa sembra rivolta solo ai gesti specifici dell’intimità sessuale e non diamo abbastanza importanza all’educare ad esprimere l’amore: questo è parte integrante e basilare di una vera educazione sessuale, che riguarda tutta la persona e tutta la sua capacità di esprimere l’amore con il linguaggio del corpo.

In conclusione, cari genitori, è una bella attenzione verso i vostri figli la preoccupazione nei confronti della loro educazione sessuale. E capiamo la vostra apprensione sul cosa dire loro. Tuttavia abbiamo voluto sollevare questi quattro punti perché troppo spesso la preoccupazione è solo per ciò che i figli respirano fuori casa su questo tema, ma a nostro avviso non si è altrettanti attenti a cosa invece è in vostro potere dentro casa.

Con questo, se non vi sentite dei grandi esempi per i vostri figli, non vogliamo farvi sentire in colpa o sbagliati: sappiamo molto bene che tutti noi abbiamo fatiche, ferite e difficoltà sia personali che di coppia. E sappiamo anche che la realtà è complessa e variegata, e che nessuno vive in una famiglia ideale, anzi.

Il nostro intento è stimolare una riflessione: crediamo infatti che la cosa importante sia sapersi mettere in discussione e non rinunciare a crescere insieme ai propri figli, qualunque sia la nostra situazione di vita.