Amare non è da supereroi (ft. Coldplay)

La musica ha uno straordinario potere di toccare le corde del nostro cuore. Credo che ciascuno di noi abbia potuto sperimentare la potenza di certe melodie e l’energia che si sprigiona quando c’è il mix giusto di parole e musica.

Come abbiamo già avuto modo di dire, gli artisti, quelli veri, a volte hanno la capacità di far emergere alcuni tratti della nostra umanità con una limpidezza paragonabile a quella di un corso di antropologia, e credo che i Coldplay siano tra questi.

Da quando è uscita, Something Just Like This mi ha subito catturato. Inizialmente, lo confesso, per il suo sound coinvolgente, d’altra parte il mio primo approccio alla musica inglese è sempre un po’ alla Alberto Sordi di Un americano a Roma (orait orait… awanagana…).

Poi però, entrando nel testo e comprendendo le parole, mi sono reso conto come nasconda un inno ad una mascolinità liberata da tanti condizionamenti.

Ho letto vecchi libri

Le leggende e i miti

Achille e il suo oro

Ercole e i suoi poteri

Spiderman e la sua abilità

E Batman con i suoi cazzotti

E chiaramente non mi vedo su quella lista

Chris Martin attacca parlando dei miti, dei modelli eroici di uomo che hanno sempre percorso la storia da Ercole ed Achille fino a Batman e Spiderman, gente con i super poteri, per poi osservare, con una delusione percepibile, come il suo nome  (così come il nostro) non sia su quella lista.

È purtroppo esperienza comune a tutti noi maschi il doverci rapportare a modelli di maschile che sono fuori dalla realtà. Quando va bene sono un misto tra Ercole e Batman, ma più frequentemente sono i modelli del vincente, del personaggio di successo, dell’uomo di potere… probabilmente, ognuno di noi ha più o meno consapevolmente un “modello tossico” al quale si ispira e quanto è importante poterlo riconoscere.

È strano: riconosciamo che dentro di noi abita un’aspirazione a grandi imprese, sogniamo che il nostro nome venga conosciuto, ricordato, amato, desideriamo che su di noi si posi uno sguardo benedicente; eppure, accanto a questa profonda aspirazione, quando entriamo in contatto con noi stessi riconosciamo anche tanta fragilità e insicurezza. Ed ecco allora che nel nostro cuore maschile si affaccia lo spettro dell’inadeguatezza, il timore di non essere all’altezza.

Di fronte a questi contrasti ci ritroviamo confusi, disorientati e spesso finiamo per credere che esistano soltanto due possibilità: o avvicinarci a tutti i costi al modello che abbiamo in testa con sforzo e determinazione, oppure rinunciare e vivere nell’ombra accontentatoci di cose mediocri e riempiendoci di distrazioni. In un caso, l’aspirazione si trasforma in presunzione: “devo farcela”, nell’altro in rinuncia: “non posso farcela”.

Nel primo caso finiremo davvero per indossare qualche costume o maschera per nascondere il nostro vero volto, i nostri limiti e le nostre fragilità; nell’altro indosseremo soltanto cinismo e rassegnazione per difenderci dall’anelito del nostro cuore.

Ma queste due soluzioni non possono che starci strette ed appesantirci e così, capita allora che nel profondo del nostro cuore avvertiamo una grande sete di autenticità che ci parla attraverso il disagio e l’inquietudine.

In mezzo a tutta questa confusione poi, ad un certo punto, Chris Martin ci parla di una voce. Una voce che fa domande scomode: Dove vuoi andare? Quanto sei disposto a rischiare?

È una voce femminile, la voce di chi guarda a noi da fuori di noi, perché differente da noi.  E proprio questa voce ci rivela una terza strada, una verità vitale per la nostra vita maschile:

Non sto cercando una persona con i superpoteri

Qualche supereroe

Qualche storia da favola

Vorrei soltanto qualcuno a cui potermi rivolgere

Qualcuno da poter baciare

Tutto intorno a noi ci porta a pensare che per essere qualcuno, per essere desiderabili, dobbiamo essere tipi tosti, gente di successo con il bicipite scolpito, il six pack e il look giusto… ma in realtà il cuore femminile non attende alcun supereroe. Il cuore di una donna attende solamente qualcuno di reale a cui rivolgersi, qualcuno da amare, qualcuno da baciare, qualcuno con cui condividere lo stesso respiro, la vita più intima.

L’amore è la cosa più grande, l’unica capace di rendere la vita, Vita (citando il titolo del Campus by Night 2021). È questo ciò che attende il nostro cuore, e la bella notizia è che per amare non serve essere supereroi. Ecco allora che possiamo piano piano deporre le maschere e lasciarci liberare da tante difese, per accoglierci così come siamo belli e miseri, ma unici.  

Avverto però come queste parole non ce le rivolga soltanto il cuore femminile.

Sono parole che ci rivolge anche il Signore Gesù, lo Sposo del nostro cuore. Cristo canta per noi attraverso queste note perché non ne può più dei nostri apparati di rappresentanza, del nostro perfezionismo e delle nostre finzioni. Cristo è lì alla porta del nostro cuore e continua a sussurrarci: non devi essere un supereroe, non devi essere perfetto, mi basta ciò che realmente sei. Non devi nascondere i tuoi limiti perché la mia forza si manifesta nella tua debolezza!

Che grazia scoprire che non dobbiamo essere nulla di mitologico o di fantascientifico per meritarci il suo amore, gli basta che siamo noi stessi, che siamo qualcuno a cui potersi rivolgere. 

E che meraviglia vedere come, ancora una volta, l’amore umano è capace di spalancarci le porte dell’amore divino.

Se vuoi approfondire il mistero della tua mascolinità e della femminilità leggi il libro che abbiamo scritto per condividere ciò che finora abbiamo scoperto: Il cielo nel tuo corpo

Cinema & teologia del corpo: Jojo Rabbit

Chi di voi ha visto Jojo Rabbit? Se non lo avete visto, il consiglio è di rimediare al più presto.

È un film bellissimo, esilarante e serio, profondo e divertente. A noi è piaciuto talmente tanto che dopo averlo visto al cinema con i nostri nipoti, siamo tornati a vederlo anche in questi giorni, sotto le stelle, in uno di quei cinema all’aperto di paese, deliziosi e un po’ all’antica.

Dopo aver frequentato i corsi di Christopher West negli USA al TOB INSTITUTE, ogni tanto, quando guardiamo un film, cerchiamo i “semi del verbo”. Christopher infatti ad ogni corso propone sempre la visione di un film, ma non una pellicola a tema religioso, tipo Gesù di Nazareth o I dieci comandamenti, bensì un film hollywoodiano, “insospettabile” per così dire, dove chiede di prestare particolare attenzione ai messaggi profondi che si possono cogliere, che rimandano alla fede e alla teologia del corpo. Proprio come abbiamo letto domenica infatti, è convinto che grano e zizzania crescano inevitabilmente assieme, e che quindi, piuttosto che rigettare ciò che è “mondano”, valga piuttosto la pena riconoscere in ogni cosa i semi del verbo, piccole tracce di verità che si possono cogliere anche al di là di quello che è l’intento consapevole del regista o dello sceneggiatore.

Jojo Rabbit da questo punto di vista ci è sembrato particolarmente stuzzicante.

Il film è ambientato in Germania durante la seconda guerra mondiale, all’epoca quindi del nazismo. Il protagonista del film infatti, un bambino di 10 anni, sta per partecipare ad un weekend di training per la gioventù hitleriana, di cui sta entrando orgogliosamente a far parte, tanto che ha per amico immaginario niente meno che Hitler, interpretato in maniera caricaturale nonché magistrale dal regista Taika Waititi.

«Oggi tu diventi un uomo» questo è quello che si dice Jojo prima di partire e questo è l’asse portante delle nostre riflessioni: cosa significa diventare un uomo? Questa è infatti una delle domande-chiave a cui vuole rispondere la teologia del corpo.

Al campo di formazione per giovani nazisti, diventare un uomo significa imparare ad usare il pugnale, la pistola e a lanciare una bomba a mano, significa odiare (gli ebrei), ma significa soprattutto imparare ad uccidere e a combattere per uccidere. La scena più significativa qui è quando Jojo viene preso in giro perché ritenuto codardo e deve dimostrare di non esserlo uccidendo un coniglio, cosa che non farà e che gli costerà l’appellativo di “Jojo coniglio” appunto.

Ma diventare un uomo è proprio questo?

Per diventare uomini c’è bisogno di confrontarsi con l’uguale (il maschile) e con il differente (il femminile), e questo film ci offre degli spunti molto interessanti su questo.

Jojo non ha il padre, che è impegnato al fronte, e nel rapporto con l’amico immaginario Hitler si avverte tanto il suo bisogno di una figura paterna con cui confrontarsi e che creda in lui. Nel vuoto della presenza reale però, tale figura immaginaria è idealizzata, tanto da rendere il piccolo Jojo un vero e proprio fanatico nazista desideroso di compiacere il suo Hitler.

Al campo di formazione incontra però una nuova figura maschile: il capitano Klenzendorf, personaggio pittoresco e discutibile a cui una menomazione fisica, dovuta ad una ferita di guerra, ha interrotto bruscamente i sogni di carriera militare e ridimensionato significativamente il feeling con l’ideologia nazista. Sarà lui che, a dispetto delle attese, nel corso del film si preoccuperà per Jojo, lo proteggerà, arrivando infine a fare un gesto dal profondo valore paterno: sacrificare la sua vita per quella del piccolo.

La madre (Scarlett Johansson) è la figura chiave per il piccolo Jojo, è lei a donargli nelle parole e nei fatti un prezioso insegnamento sull’amore. Nei dialoghi tra i due infatti lei gli consegna alcune frasi-chiave che spetterà a Jojo verificare e fare proprie nel corso della vita: «L’amore è la cosa più forte al mondo» e «La vita è un dono e dobbiamo celebrarla». Tali dichiarazioni non rimangono però frasi sospese e astratte, perché la madre ha accolto segretamente nella loro casa una ragazza ebrea, Elsa, testimoniando così con la sua stessa vita cosa significa l’amore e perché vale la pena vivere (qui non posso svelare oltre se non avete visto il film).

E sarà proprio nel rapporto con Elsa, di cui scopre di nascosto l’esistenza, che Jojo imparerà a fare i conti con la realtà dell’altro, che non è più un fantasma ideale contro cui combattere, ma è una persona concreta, con i suoi sentimenti e i suoi bisogni, e a cui infine si affezionerà fino ad innamorarsene.

Andando verso una conclusione, possiamo allora dire che questo film ci può regalare alcuni importanti spunti su cosa significa essere padri: insegnare a offrire la propria vita, e su cosa invece significa essere madri: insegnare ad accogliere la vita.

Grazie all’aver fatto esperienza di un padre e di una madre Jojo, alla fine del film, potrà finalmente liberarsi dell’amico immaginario Hitler, che non gli serve più, dato che ha sperimentato una paternità reale, ma soprattutto ha imparato cosa significa davvero diventare uomo.

Nelle ultime scene infatti, Jojo, che è innamorato di Elsa, può decidere se farle credere che la Germania ha vinto la guerra, trattenendola così con sé, oppure se dirle la verità, lasciandola libera di uscire dal suo nascondiglio, a costo di perderla. Jojo sceglie di dirle la verità e di lasciarla libera, dimostrando di aver imparato nonostante i suoi dieci anni e mezzo ad amare nel modo più sublime: mettere davanti la felicità dell’altro e lasciarlo libero.

Ecco cosa significa diventare uomo: imparare ad amare e fare ciò che si ha in potere di fare per amore, anche contro il proprio stesso interesse.