Giovani domande (su sesso e dintorni)

Pubblichiamo anche qui l’articolo scritto nei giorni scorsi per il sito theologhia.com con il titolo: C’è una risposta alle nostre domande sull’amore? [Un grazie speciale a Robert Cheaib per lo spazio che ci ha dato]

Ho letto su Avvenire che in questi giorni si sta svolgendo vicino a Roma un bellissimo evento organizzato da Azione Cattolica dal titolo “A cuore scalzo” in cui oltre duecento giovani potranno confrontarsi con alcuni esperti chiamati a rispondere alle loro domande in materia di affettività e sessualità.

Conoscendo alcuni dei relatori, possiamo dire con certezza che sarà una preziosa possibilità di dialogo e crescita. Ecco qui alcune delle domande poste dai giovani:

  • Perché noi giovani credenti siamo costretti a scegliere tra l’essere casti o l’essere superficiali?
  • Per avere un rapporto matrimoniale è necessario dover aspettare e perché?
  • Come gestire gli eventuali sensi di colpa legati alle nostre pulsioni?

Si tratta certamente di domande che nascondo una sete di verità e di senso, questioni su cui anche io ricordo di essermi ‘scontrato’ molte volte durante i miei vent’anni. Allora mi sono chiesto: cosa può dire la teologia del corpo a questi giovani cuori assetati? Cosa la teologia del corpo ha detto a me su questi punti?

Leggendo le domande, subito mi è venuto in mente il dialogo di Gesù con i farisei sul divorzio (Mt 19 1-9) in cui i questi ultimi chiedono a Gesù se sia lecito ripudiare la propria moglie, ovvero divorziare per un motivo qualsiasi. Probabilmente vi chiederete cosa c’entra il tema del divorzio con gli interrogativi dei giovani di AC che desiderano amare nella verità. Forse nulla, ma a giudicare dalla risposta che Cristo dà ai farisei, penso che si possa trovare molto più di una connessione. Infatti, benché la domanda dei farisei appaia molto specifica e si collochi su un piano legale, Gesù non risponde rimanendo su un piano normativo (si può fare o non si può fare) ma cambia livello e va alla radice profonda della domanda, sviluppandola in ampiezza e profondità.

Se c’è un divorzio infatti, significa che siamo di fronte ad un amore ferito, ad una relazione che sanguina, per cui benché i farisei chiedano precisamente: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?» Gesù comprende che la vera domanda è un’altra: Che cos’è l’amore? Cosa significa amare?

Non è forse questo l’interrogativo fondamentale che possiamo individuare anche alla radice delle domande poste dai giovani di AC?

Non è forse questo l’interrogativo fondamentale che possiamo individuare anche alla radice di tante nostre quotidiane domande sul senso della vita, sull’amore, sul maschile e sul femminile?

Ecco allora che la risposta che Cristo dà ai farisei acquista un peso specifico enorme anche per noi: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi».

È come se Gesù ci stesse dicendo che se vogliamo veramente comprendere il mistero profondo dell’amore, è necessario tornare al Principio, al progetto che Dio aveva quando ha creato l’essere umano come maschio e femmina, e infatti cita entrambi i racconti della creazione di Genesi. L’amore, d’altra parte, è un fenomeno tipicamente umano, pertanto per penetrarne il mistero occorre scoprire chi sono veramente l’uomo e la donna. Il problema allora non è quale regola devo seguire, né quale beneficio ho nel seguirla, il problema vero è “chi sono io?” “Qual è la mia verità?”.

Così San Giovanni Paolo II inizia a delineare la sua teologia del corpo, per condurci a scoprire come il nostro corpo sia chiamato a rivelare e a partecipare della bellezza di Dio, e questo non ‘nonostante’ la sessualità, bensì proprio attraverso di essa. Credo quindi che un primo elemento chiave che la teologia del corpo può offrire a questi cuori assetati sia questo: il come devo vivere deriva dal chi io sono!

Se però si prosegue con la narrazione di Matteo 19 ci si accorge immediatamente di come il messaggio di Cristo noi sia poi così immediato, infatti i farisei gli obiettano: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?»  Allora Gesù va al nocciolo del problema: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così».

Queste parole ci rivelano che il “chi io sono” deve però fare i conti con un cuore che si è come atrofizzato. Cristo si riferisce agli effetti del peccato originale che nella storia ci rendono inclini al male, ci rendono preoccupati per noi stessi, incapaci di fare della nostra vita un dono autentico. Piaccia o non piaccia, c’è qualcosa di rotto in ciascuno di noi, siamo portatori di una ferita. Ma Gesù non parla di questa ferita (durezza di cuore) per demolirci, bensì per fare verità: in principio non fu così, il cuore indurito non è la nostra verità!

Noi oggi diamo ormai per scontato che l’amore possa finire, che si possa provare, che avvengano divisioni, tradimenti, incomprensioni e quant’altro… Noi pensiamo ormai sia lecito sperimentare un po’ tutto in campo affettivo… Ma Gesù richiama la nostra verità: in principio non fu così!

Cristo grida al nostro cuore di non lasciarci condizionare dai nostri fallimenti, dai nostri errori, dai nostri ragionamenti inquinati dal peccato, non sono quelli la nostra verità. Noi siamo molto di più.

Cristo nel suo corpo di uomo, ha preso su di sé tutta l’umana debolezza per unirci a sé e restituirci una vita di libertà, una vita capace di farsi dono. Tutto questo è avvenuto nel nostro battesimo, ma tante volte ne siamo ignari, nessuno ci ha mai dischiuso le porte del mistero di cui siamo divenuti partecipi.

Noi tante volte facciamo corsi, accumuliamo nozioni su come vivere cristianamente la sessualità, ma spesso scordiamo che non basta aver capito cosa è giusto fare per amare nella verità. Per entrare nell’amore occorre aprirsi alla redenzione che Cristo ci ha portato e lasciare che sia lui a guarire il nostro cuore incartato.

Ecco allora un secondo elemento chiave che la teologia del corpo può offrire a questi cuori assetati: il chi io sono lo posso scoprire solo nell’amore di Cristo. Solo Cristo infatti ci conosce veramente, lui ha redento l’uomo intero, corpo e sessualità inclusi. Lui ci ha già redento, ma aprire il nostro cuore alla sua guarigione è un cammino quotidiano, nella concretezza della vita.

Se vuoi approfondire di quale cammino si tratta e se hai voglia di andare un po’ più a fondo nella teologia del corpo ti invitiamo a partecipare al corso QUESTO È IL MIO CORPO a Macerata (MC) dall’ 1 al 5 gennaio 2020.

Sarà un entusiasmante viaggio alla scoperta del vero significato del corpo e della sessualità umana secondo il disegno di Dio, un viaggio aperto a tutti dai 20 anni in su.

Scopri di più su: http://www.misterogrande.org/tob/corso-tob/

La bella morte

Negli ultimi giorni la mia famiglia ha vissuto un momento importante e intenso, la morte del nonno. Importante e intenso, appunto, non brutto. Non riesco a dire che sia stato un brutto momento, anzi, mi viene proprio da dire che sia stato un momento bello. E lo dico con tutto il rispetto per il dolore che ciascuno di noi ha provato.

Sì, morire può essere bello, non perché non si soffra, ma perché oltre la sofferenza si possono cogliere doni preziosi, la morte infatti non è mai l’ultima parola sull’uomo, e in questa esperienza familiare lo abbiamo toccato con mano.

Lo sapevamo già, ad esempio la storia di Chiara Corbella Petrillo ce lo aveva insegnato, ma vedere che anche la morte di un uomo di 89 anni, che per qualcuno potrebbe apparire scontata, ha qualcosa da insegnare, mi fa davvero dire che “il Regno di Dio è in mezzo a noi”, nell’ordinarietà della vita vissuta con fede.

Il nonno ha vissuto proprio così la sua vita, da uomo onesto nel suo lavoro di direttore di banca, da marito e padre amorevole, saggio, di poche parole, ma sempre giuste e sapienti, da uomo mite, che ha vissuto in tutta pienezza la sua vita, e che viveva la sua vecchiaia nella pace e nella fiducia.

Con questa stessa pace ha affrontato gli ultimi giorni, dove non ha smesso di sorridere negli attimi in cui era cosciente e incontrava il volto di qualcuno accanto a lui, e di ringraziare. Le sue ultime parole, nelle ultime ore di agonia, dove faceva fatica a respirare, non era più nè grado né di mangiare né di bere, senza dentiera, con un grande sforzo di fiato e di tutto il corpo sono state: “Ti ringrazio molto” a sua sorella, che gli stava inumidendo le labbra per un pò di conforto. Quanto è vero che se impariamo a ringraziare, lo faremo anche nel momento della prova più difficile, la morte.

In quelle ore, poche per fortuna, ho proprio pensato che fosse unito a Cristo nella sofferenza della Croce. L’ultima cosa che ha “mangiato” infatti è stata una briciola di ostia consacrata, meno di 24 ore prima della morte: uniti nella sofferenza per un breve tratto, per poi essere uniti nella beatitudine eterna.

Dal momento che la situazione di salute del nonno è precipitata nel giro di pochissimi giorni, la sensazione è stata proprio quella di aver vissuto un piccolo triduo pasquale nell’intimità della nostra famiglia, dal venerdì alla domenica, giorno in cui il nonno è salito al Padre.

Un altro particolare che mi ha colpito è stato che, ad un certo punto, eravamo in cinque donne intorno a lui, nella sua elegante stanza da letto, e ho pensato che non fosse un caso. Sua moglie, sua figlia, la sorella, due nipoti: le donne di famiglia hanno presidiato la situazione, hanno consolato, si sono prese cura, hanno vigilato, hanno accarezzato, hanno cantato, hanno pregato. E non sto dicendo che gli uomini di famiglia non hanno fatto nulla, ma mi è stato evidente come il ministero femminile sia davvero diverso da quello maschile. Stare presso la vita e presso la morte è del femminile, la carezza di una donna è diversa dalla carezza di un uomo, la tenerezza di una donna è diversa dalla tenerezza di cui è capace l’uomo. Anche nel Vangelo, del resto, sono le donne che tamponano la sofferenza e cercano di preservare la dignità, come la la Veronica con il suo gesto rimasto alla storia, sono le donne che stanno presso la croce, sono le donne che poi si preoccupano del corpo di Gesù, la mattina successiva.

E come la domenica mattina a Maddalena viene annunciata la Resurrezione, così anche nella liturgia della domenica in cui il nonno è salito al Cielo, il tema era la resurrezione. E se la Parola ci parla nella vita concreta nel qui ed ora, impossibile non leggerla come la certezza che il nonno è stata accolto tra le braccia di Dio, in cui ha sempre creduto.

Il giorno del funerale poi, quale gioia scoprire che la liturgia del giorno parlava del nonno: nella prima lettura dal libro della Sapienza “Le anime dei giusti , invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace.”

E nel Vangelo: “Così anche voi, quando avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare.”

Proprio così è morto il nonno, nella pace di aver fatto tutto ciò che “doveva” fare, nella consolazione di aver compiuto la sua missione su questa terra, nella gioia di aver accanto a lui tutta la sua amata famiglia.

E il dono della sua esistenza non è cessato con la morte, perché ci ha lasciato il suo testamento spirituale, dove ringrazia per i doni che ha ricevuto nella vita, benedice tutti e ci raccomanda “la sola cosa importante in questa vita e in quella futura, la Fede”.