La mia vita con il porno

Buongiorno a tutti, mi presento: mi chiamo Marco, ho 27 anni e vivo a Milano. Tommaso e Giulia mi hanno invitato a scrivere la mia testimonianza sulla mia dipendenza dalla pornografia durata fino all’anno scorso, e ho accettato con piacere. Spero che in questo racconto qualcuno possa riconoscersi e, riguardando un po’ la sua vita, fare la scelta di intraprendere un percorso di disintossicazione dal mondo del porno, ne vale davvero la pena.

Gli inizi

Il mio primo incontro con i porno fu a 10 anni, ero a casa del mio migliore amico con altri coetanei quella sera per giocare un po’ con la play e mangiare una pizza insieme. Eravamo proprio bambini, ricordo che non avevo mai neanche pensato a stare insieme a una ragazza, eravamo ancora nella fase dove il gruppo dei maschi era separato da quello delle femmine. Era tuttavia un tempo in cui sorgevano i primi cellulari con una memoria sufficientemente grande da poter contenere qualche video o immagine; ricordo che la grande rivoluzione era scambiarsi file con il Bluetooth, altro che il cloud o i vari drive condivisi di adesso. I video che andavano per la maggiore erano quelli di Dragon Ball con le canzoni dei Linkin park, video di tutto rispetto, poi però hanno iniziato ad arrivare appunto i porno. “2×1” era il titolo del primo quella sera: il due stava per due uomini neri e l’uno per una ragazza bianca. Fu un video molto violento, di quelli che non ho mai più riguardato. Ne hanno fatto partire un secondo, di cui però preferisco non farne il nome, ma mi sono rifiutato di vederlo.

Non sapevo cosa fosse l’intimità tra persone adulte: mia madre mi aveva fatto solo una distinzione tra l’amore e il sesso per tentare di darmi una morale su qualche immagine di nudo non prevista nei film della sera in famiglia, mai avrei pensato a qualcosa di così degradante. Faccio fatica a descrivere l’emozione provata davanti a quel primo video: avevo una visione della donna come un qualcosa di prezioso, come un fiore da proteggere, non una cosa da calpestare, schiacciare e frantumare a più non posso. E quello che più facevo fatica a comprendere era la volontaria partecipazione di quella bellissima ragazza a farsi trattare così: non potevo credere che una ragazza volesse qualcosa che a me appariva essere uno stupro di gruppo filmato. Quel che avevo visto era tuttavia il sorriso e la compiacenza – che a tratti diventava lacrime e disapprovazione- di quella creatura, che non credevo vero e possibile fino in fondo. Al tempo non potevo sapere che i pornoattori fanno uso di droga per restare nel circolo a fare ciò che fanno, e che c’è un tasso di suicidi non indifferente tra loro.
Inizio a fare domande ai miei amici, incredulo, e ciò che mi sento dire è: “Guarda che se non sai queste cose alle superiori vieni preso in giro”, oppure “Guarda che i bambini nascono così”…
…IO DUNQUE SONO USCITO DA QUESTO???
la frase “questo è amore” oscillava tra due significati: il primo con un punto di domanda finale e il secondo con un punto esclamativo.

Una volta tornato a casa ricordo di essere andato a letto sconvolto, mia madre mi vide profondamente turbato e mi chiese cosa avessi ma non volli risponderle, fino ad ora non sa ancora nulla di quella serata. Il tutto si salvò nella memoria sotto la categoria: “ciò che piace alle donne”, ma se da un lato volevo disperatamente che non fosse vero, dall’altro mi convincevo che quello era divenire adulti, ed era la realtà che doveva piacermi.
Leòn Festinger, uno psicologo che si occupò della pressione sociale che i gruppi di persone esercitano sugli altri, chiama questo tipo di contraddizioni mentali “dissonanze”, e afferma che, alla fine, la più forte tra le due, socialmente parlando, vince, ovvero diventa credenza su cui si basano future scelte. Questo meccanismo starebbe alla base dell’evidenza per cui una persona diventata membro di un gruppo mediante una iniziazione dolorosa è molto più devota al gruppo al contrario di una che non ha avuto una iniziazione di quel tipo.
Una volta riacquistato una sorta di equilibrio mentale, a inizio della pubertà sentii la necessità di guardare qualcosa su internet, nonostante tutto vedere una donna nuda aveva toccato le mie corde, e anche se non volevo rivedere video, qualche immagine soft magari potevo permettermela, e poi, perché no? non c’è nulla che può farmi del male, scelgo io infatti cosa guardare e cosa no. Iniziai dunque a cercare qualche immagine su internet, ma non conoscevo effettivamente il mondo del porno: scrivevo “tette”, o “donna nuda”, cliccavo su “immagini” di Google e guardavo cosa appariva; l’unico accesso a internet era però tramite il pc familiare, e subito venni scoperto da mio fratello che controllò la cronologia e lo disse a mia madre. Non potevo più rischiare tanto, e se poi mi scoprivano ancora? che figura ci facevo?
Continuai con la tv, sui canali 999 di sky, e piano piano scoprii da solo la masturbazione. La prima volta è stata come toccare il cielo con un dito e, per un ragazzino della mia età, un po’ bullizzato, senza grandi aspirazioni, con una precaria comunicazione con i propri genitori e non troppi amici era il paradiso davvero. Aspettavo che mamma uscisse, chiudevo le persiane del salotto e subito iniziavano i miei viaggi.
Scoprii poi che potevo farlo anche senza un video, bastava andare in bagno e immaginare, e potevo immaginarmi non solo le donnine di sky, ma anche quelle vere, e iniziai a fantasticare su di loro… dopo un po’ però notai che non mi soddisfaceva più fantasticare, avevo bisogno di altro. Nell’anno della mia cresima, a 13 anni, ricevetti il mio primo smartphone: l’IPhone 3g, scrivo smartphone perché prima di quel modello era complicato accedere ad internet, era poco fruibile l’esperienza, ma ora era tutto molto più facile. Una volta superata la paura di visitare un sito porno (sai, i virus), è iniziata la mia rovina.

La pornografia e cosa significa starci dentro

In un sito porno puoi trovare tutto ciò che desideri, esiste una regola tra i ragazzi, la regola 69, che recita: “Esiste una versione porno di ogni cosa.” Sì, è davvero così, e purtroppo anche io mi sono basato su di essa per stimolare la mia fantasia e provare piacere. Nei vari siti esistono moltissime categorie, dalle più soft alle più hard. Un ragazzino, anche se schifato dal degrado presente in quelle hard, non tarderà molto prima di ritrovarsi a cercare anche lui tra di esse e si stupirà di questo, garantito. Molti se non tutti si sorprendono di ciò che riescono a vedere (io in primis), si stupiscono di ciò che a un certo punto li eccita e, nonostante un po’ di schifo, ne vogliono di più. Il cervello infatti è fatto per ricercare quel di più, cosa necessaria per poter esplorare e vivere esperienze nuove, ma la pornografia è fatta per fornire tutto l’occorrente per soddisfare quella ricerca, e non lascia vie d’uscita per altro, satura ogni tentativo di aprirsi alla vita e nel tempo fa ripiegare interamente il cervello su di essa.
Già quando iniziai le superiori ricordo che le ragazze mi apparivano come pezzi di carne con cui potevo fare ciò che volevo: mi rifugiavo a farlo nella mia fantasia sì, a casa, dove ripetevo nella mia mente le scene che vedevo nei filmati, ma sognavo di farlo veramente nella realtà con qualcuna, “Non vedo l’ora”, mi dicevo. Appena vedevo una ragazza pensavo a come poteva essere nuda, o come poteva essere a fare sesso o altro, a quali perversioni le sarebbero piaciute, a quanto il loro seno era grosso, a quanto a me sarebbe piaciuto fare sesso con loro. Cercavo di categorizzarle prima consapevolmente e in modo piacevole, poi in modo sempre più automatico e disgustoso.

Nel tempo questo automatismo diviene pressante, ossessivo: mi si presentavano immagini anche con ragazze a cui volevo bene e non volevo pensare in certi modi o in certe scene. Queste erano costanti e non riuscivo a contrastarle, avevano carattere di intrusività, ed erano davvero una sofferenza: mi venivano anche con i familiari o bambine, e mi facevo davvero schifo. In psicologia si parla di generalizzazione, una operazione che il cervello esegue sui ricordi per avere degli schemi di comportamento anche in nuove situazioni, e quindi arrivare “preparati”..
Sapevo però che la masturbazione mi portava almeno una mezza giornata di libertà da questi pensieri intrusivi, e quindi iniziai a trovare il tempo per masturbarmi prima di un evento particolare che sapevo sarebbe stato stressante, così ho instaurato quel circolo vizioso che si chiama feedback positivo, dove la sostanza che ti porta il malessere diventa anche la cura. Utilizzavo questa ingegnosa tecnica di prevenzione anche per affrontare qualche festa o qualche appuntamento: quando mi guardavo un porno poi ero molto più sereno, tranquillo, sciolto nel parlare con le ragazze o stare in ambienti sociali, nulla mi toccava, era come avere i superpoteri.
Mi fa sempre specie pensare a un passo della Valtorta dove Gesù le parla di cos’è il peccato: “e il Male non voleva che lo conosceste, perché è frutto dolce al palato ma che, sceso col suo succo nel sangue, ne desta una febbre che uccide e produce arsione, per cui più si beve di quel suo succo mendace e più se ne ha sete. [17. La disubbidienza di Eva, e l’ubbidienza di Maria].

In quinta superiore

Arrivai in quinta superiore con ancora nessuna esperienza di fidanzamento alle spalle. Conobbi una ragazza di scienze sociali e mi ci trovai davvero in sintonia. Iniziai con lei a fare delle lunghe camminate al pomeriggio e condividevo davvero tanto, dalle cose più superficiali quali “com’è andata la giornata” alle cose più profonde, esistenziali della vita, come “c’è un senso nell’amare?”. Nonostante tutte le fantasie pornografiche che inevitabilmente mi venivano su di lei, cercavo in tutti i modi di evitarle per vederla nella sua purezza: aveva un faccino rotondo, carino, ed era dolce con me. Tornai pian piano a pensare che forse quella visione fiabesca che avevo da bambino sull’amore potesse essere vera. Per 6 mesi uscii con lei in queste passeggiate, lei era alquanto popolare tra i ragazzi della mia età, molti miei amici erano meravigliati dall’intimità che avevo con lei, e avevo ormai riposto tante speranze, ma alla fatidica domanda di essere un qualcosa in più lei mi rifiutò. Non fu tanto quell’episodio che mi buttò giù ma l’aver scoperto poco dopo che quella bella, pura ragazza che pensavo potesse essere un esempio positivo del vero amore faceva sesso occasionale con più ragazzi nel periodo delle nostre passeggiate. Questo purtroppo spense definitivamente la speranza sul vero amore ai miei diciott’anni, anzi, fui confermato nel pensare alle ragazze come ricercatrici di avventure sessuali.
Iniziò un periodo di profondo sconforto e smarrimento e di lì a poco iniziava l’università. Mi sentivo profondamente tradito da quella ragazza, e allo stesso tempo non credevo nelle mie capacità di poter fidanzarmi effettivamente, pensavo che c’era qualcosa che non andava in me.

Iniziai una ricerca, non direttamente sui porno, quelli no, non li potevo mettere in discussione, sulle cause di questa mia incapacità, e incappai su dei siti / video che mi convinsero che non ne sapevo abbastanza di metodi di corteggiamento, in fondo era quindi solo una serie di metodologie da mettere in pratica per far colpo sulle ragazze. In giro sul web ce ne sono parecchi, forse ora molti di più, alcuni si fermano a parlare di tecniche da usare, altri, che ritengo più veri, parlano del confidare nelle proprie capacità, dell’importanza dell’autostima e dell’indipendenza da raggiungere con sé stessi e appunto una dipendenza non te lo permette. Non sono del tutto sbagliati in realtà, ma non sono esaustivi, specialmente riguardo ai porno. Ma aldilà della loro esaustività, con un mio amico iniziammo a mettere in pratica queste tecniche, convinti che bastassero per fare colpo, ma ovviamente non funzionarono; infatti o c’è davvero un cambio radicale, profondo, oppure mettere un coperchio su una pentola a pressione per fare sembrare che tutto vada bene non serve a nulla, e le ragazze lo percepiscono.
Dopo qualche mese di prove fallimentari con questo mio amico venimmo a conoscenza di qualche notizia in inglese che riguardava i porno e i suoi effetti collaterali. Scoprimmo l’esistenza di gruppi di auto-aiuto chiamati “Nofap movements”: gruppi di ragazzi per lo più giovani che si davano man forte online nel cercare di abbandonare la pornografia. Esisteva tra loro una sorta di sapere creato in modo disorganico, basato talvolta esclusivamente sulle testimonianze di chi aveva abbandonato la pornografia e la masturbazione e non su dati sperimentali, che recitava una sorta di elenco di superpoteri (proprio così li chiamavano, “superpowers”) che si ottenevano dall’abbandonare tali attività. Tra i superpoteri più ambiti c’era la capacità di parlare alle ragazze in scioltezza e non avere più paura di loro, ridurre l’ansia sociale, il riuscire a svegliarsi belli pimpanti la mattina, avere voglia di vivere e avere la forza per essere produttivi nella giornata e non rimandare gli impegni. Questi “superpoteri” sono stati poi tutti confermati in ambito scientifico: essi in realtà sono la normalità per un organismo sano.

Era la rivoluzione, iniziammo insieme a smettere di guardare i porno. Il primo giorno fu una meraviglia, ma il secondo giorno non resisto. Convinto del fatto che “doveva essere solo una coincidenza” non mi do per vinto e smetto un’altra volta, ma lo stesso giorno cado. E cado. E ancora. E ancora. Non riesco più a completare un giorno senza masturbarmi. Dopo qualche tempo (è difficile ammettere di essere dipendente da una sostanza) mi arrendo all’idea di essere dipendente.
L’incontrollabilità data dall’astinenza è forte, se non l’hai provata è davvero complicato fartelo intendere. Mette da parte ogni cosa, tutto viene saturato dalla sola voglia di estinguere quell’urgenza, ti porta a smettere qualsiasi attività che stai facendo e il tempo in cui ti droghi si dilata, spariscono le preoccupazioni, spariscono le persone e le scadenze, vieni assorbito dall’esperienza finché non arrivi all’orgasmo nel caso dei porno. Ricordo che in inverno il bagno vicino alle camere era freddo ma piuttosto di perdermi l’occasione di poter godere senza la preoccupazione che qualcuno avesse bisogno a sua volta del bagno, andavo in quello e anche se mi si gelavano le mani o altre parti del corpo, io continuavo ad andarci, e rimanevo lì finché non trovavo il video perfetto. Stavo anche fino a un ora al freddo invernale mezzo nudo senza riscaldamento pur di farmi “come si deve”.

La ragazza dell’università

Al primo anno di università c’è una ragazza che mi piace molto fisicamente. Dopo un po’ di tempo capii che mi piaceva anche di più e quindi iniziai a uscirci insieme. Iniziammo una relazione, che fu molto fisica, ero totalmente assorbito dal suo corpo e sulle porcate che potevano essere fatte insieme, come una sorta di bambola perfetta, lei acconsentiva a tutto e mi era sempre sembrato che condividesse l’amore alle porcate ma non ci siamo mai fermati a parlare di ciò, credo che tutti e due eravamo d’accordo mutuamente che le cose da fare in una relazione erano quelle, io le davo piacere e lei me ne dava. La cosa però dura solo 4 mesi fino al punto in cui la lascio io. Capii di essere ossessionato dal suo corpo e la pornografia: ero convinto che avere una relazione mi avrebbe fatto dimenticare la pornografia, ma dopo poco dal suo inizio ero tornato a masturbarmi sui porno. Mi faceva davvero schifo, sentivo di tradirla, ho provato in tutti i modi a non farlo, ma era più forte di me.
Una volta lessi un forum dove una psicologa, rispondendo a una signora il cui marito -sfogava il suo stress sulla pornografia per non sfogarlo su di lei perché le voleva bene-, scriveva che era giusto che il marito sfogasse il suo istinto in quella maniera, e lei doveva accettarlo così com’è, che è naturale. NO! non è naturale, è UNA MALATTIA!!! Forse qualche anno fa non era considerata una malattia, ma ora dire il contrario, davanti a tutte le evidenze scientifiche e tutte le testimonianze che ci sono in giro, è da idioti. Una volta passata la dipendenza posso assicurare che non hai più bisogno di agire in quel modo, e anzi, non hai più nessuna immagine, né nessuna idea malsana in testa, lo dico per esperienza, non per sentito dire.
È stata una mia responsabilità la fine di quella relazione. Quel meccanismo di ricerca di ragazze sempre nuove, reiterato ogni giorno da quando ormai avevo 13 anni, si è manifestato anche con lei. E io non avevo mai fatto nulla di concreto per evitarlo. La richiesta di questa urgenza era ormai più forte di quello che lei poteva darmi, e in una confusione generale tra pensieri quali – Qual è l’azione giusta? L’azione sbagliata?, il volerle bene ma anche percepire rifiuto nei suoi confronti, l’urgenza di voler cambiare ragazza ma anche non volerle fare del male – l’ho lasciata. Mi è sempre dispiaciuto tanto aver lasciato quella ragazza, nel tempo mi sono accorto che le volevo davvero bene e lei me ne voleva altrettanto. Penso che con lei avremo potuto creare qualcosa di davvero bello, ma non andò così.

Il periodo di disintossicazione.

In quel momento iniziò il periodo più travagliato della mia vita: il periodo di disintossicazione. Dai 20 ai 26 anni i miei tentativi continui di disintossicarmi scandivano le mie giornate: una volta avuta la mia dose iniziava un momento di calma fino al giorno seguente; lì iniziavo a stare male giorno dopo giorno, fino a che toccavo il fondo e dovevo assolutamente farmi un’altra dose per tornare a stare bene. Li chiamavo “i miei cicli”. il punto più alto era caratterizzato da una calma apparente, il punto più basso era come essere in preda agli istinti, pensieri inerenti al sesso che non mi lasciavano in pace, ansia e paura generalizzate e sbalzi di umore. In base a che fase ero dovevo stare attento a certe cose piuttosto che altre. Ricordo che quando ero dipendente tutto mi riportava il pensiero lì: ogni ragazza che mi passava in mente, che fosse una conoscente o amiche o persone viste per strada, ognuna me la immaginavo a fare sesso con qualcuno, o imitare scene che avevo visto. Vedere dei panni stesi fuori da una casa mi faceva pensare che all’interno di quella casa c’era una ragazza o una madre che poteva indossarli e che faceva sesso selvaggio con qualcuno, che forse a volte tradiva o che poteva farlo con me. Ogni tocco di ogni ragazza era interpretabile esclusivamente in una direzione, era difficile interpretarlo come un tocco amichevole. Dovevo dunque stare attento ai miei pensieri, a non auto-innescarmi lo stimolo con la fantasia, e in più dovevo evitare di guardare o soffermarmi su certe immagini.

Le regole autoimposte

Oltre a ciò avevo bisogno di regole per far fronte all’astinenza, formate nel corso dei 6 anni di recovery: mi sono tolto da tutti i social per evitare immagini implicite (Qualsiasi immagine di ragazze), sapevo per esempio che se dovevo andare in bagno il cellulare lo lasciavo fuori, dovevo stare attento a non fissarmi sul suono della mia cintura quando mi toglievo i pantaloni. Dovevo trovarmi qualcosa da fare quando i miei uscivano e rimanevo solo in casa o essere rapido a entrare e uscire dalla doccia. Non dovevo ritrovarmi nelle app che mi obbligavano a scorrere un feed infinito verso il basso. Non potevo guardare certi programmi o pubblicità, neanche di sfuggita. Evitavo certi discorsi o gruppi WhatsApp dove sapevo potevano postare video o immagini. Eppure, tutto questo non era ancora abbastanza anche se nel tempo i miei cicli arrivavano a durare anche una settimana.

Per farvi capire quanto può essere forte l’astinenza quando ho capito che era una cosa buona impedirmi di andare in internet con il cellulare mi sono comprato un telefono vecchio con i tasti grandi, ma in un momento di astinenza ho iniziato a usare il pc portatile. Allora ho messo dei blocchi al pc per impedirmi di andare sui siti porno ma in un altro momento di astinenza ho iniziato a guardare ragazze su Instagram, e una volta messi i blocchi ad Instagram sono arrivato a masturbarmi sulle copertine dei fumetti venduti da Amazon. Il mio cervello riusciva sempre a trovare un modo per stimolarsi, inventandoseli da zero se necessario. Capisco le persone dipendenti dalle droghe che arrivano a buttare via tutto lo stipendio o a rovinarsi la vita per avere la loro dose. Non mi sorprende che certe persone arrivino a sfogare la propria sessualità nel mondo reale con lo stupro. Una volta che parte l’astinenza è incontrollabile. Il serial killer Ted Bundy, nel suo dialogo con uno psicologo prima di essere condannato a morte, diceva esplicitamente tutto questo, di come ha iniziato con la pornografia e di come non riusciva a controllarsi nel fare ciò che faceva.

Affrontare la dipendenza da pornografia non è solo astinenza, ma anche fare i conti con la delusione e l’impotenza esperita ogni volta che si cade. I primi anni erano davvero difficili, mi scoraggiavo facilmente, non sapevo con chi condividere ciò perché tutti non la pensavano come a una dipendenza (forse nemmeno ora), mi sentivo solo in questo e allo stesso tempo non vedevo nessun passo in avanti, mi sembrava sempre di ripartire dall’inizio. Molti smettono proprio per questa lotta estenuante. Nei gruppi sulle app ho visto nel tempo davvero tanti ragazzi che uscivano dopo pochi giorni, o dopo un mese. Ci vuole impegno e dedizione, bisogna voler imparare su di sé, sulla propria condotta, e su come il cervello funziona. Bisogna creare molta consapevolezza per affrontare una dipendenza, ma non è impossibile, anzi, ci sono tante persone che ne sono uscite e che raccontano come la loro vita è cambiata.

Brain Buddy e l’esserne fuori

A settembre dell’anno scorso, dopo ormai 6 anni di tentativi scopro una app: Brainbuddy; una app a pagamento mensile con molte features per uscire dalla pornografia. Una tra queste, la più importante è la mindfulness, un modo per allontanare i pensieri negativi e rimanere nel presente. Ero scettico a pagare una quota mensile per disintossicarmi, ma mi aiutò sul serio. Grazie ad essa iniziai un faccio un periodo di prolungato di astinenza, cadendo una sola volta ad aprile, che continua fino ad oggi. È passato ormai più di un anno da quando ho smesso di guardare i porno, e sono cambiato totalmente.
Penso ora alla mia dipendenza come un sigillo posto sopra a tutte le difficoltà che mi portavo dietro. Una volta rimosso, il cammino non è stato semplice, personalmente ho avuto bisogno di una terapeuta sia durante che dopo, per riconnettermi in modo sano e normale alla realtà. In questo senso è un amplificatore di sofferenze già esistenti (1), “Un abisso attira un altro abisso” dice Madre Teresa di Calcutta.

Grazie all’impegno e all’aiuto sono guarito. Sono passato dall’essere una persona molto ansiosa ad essere molto sicuro di me. Il mio umore si è stabilizzato, prima era molto più altalenante e non riuscivo a tenerlo sotto controllo. La tristezza e la depressione se ne sono andate e hanno lasciato posto a calma e voglia di vivere. Non ho più i gusti pornografici di un tempo, non muoio più dietro a un seno grosso o a una donna matura, mi sembra che nonostante l’attrazione naturale ci sia, non c’è più quell’ossessione o quel “volere spasmodico” che tanti pensano sia caratteristico nell’uomo. Non ho più bisogno di forti stimoli per sentirmi in vita, sono contento di uscire con gli amici o di leggere un buon libro, non rimpiango per nulla quei momenti di astinenza o di piacere estremo.

In tutto questo non ho parlato del mio rapporto con Dio, ma lo ritengo il silenzioso artefice di tutta questa storia. Si è svolto tutto attraverso scelte autonome e libere, con persone in carne ed ossa che, chi più chi meno, mi hanno portato a dove sono ora, e penso che Dio agisca proprio così. Non penso che siano solo le grazie straordinarie da attribuirgli, penso che l’aiuto quotidiano delle persone e l’impegno personale nel volerlo seguire siano una grande grazia. Quando ho avuto la mia conversione a 20 anni essa mi ha spronato più di tutto a volerne uscire, e le preghiere fatte mi portavano a dire “Non può finire così, mi porterà a compimento”. Senza questa speranza continua non so se sarei stato capace di combattere questa battaglia durata sei anni. Però voglio essere chiaro: il tutto si è svolto nella realtà; uscire da una dipendenza implica prendersi la responsabilità di essa, di ogni azione a suo favore. Non basta pregare, non basta affidarsi totalmente, lo devi volere tu, e ci devi combattere tu. lo dico perché mi sono ritrovato a volte a dare troppa responsabilità a Dio, concedendomi qualche lussuria di troppo, nell’idea che “avrà pensato sicuramente a questa mia caduta, quindi sono nel giusto, basterà una confessione.” E così si prolunga la dipendenza, e Dio, più che essere colui a cui chiedere una mano diventa una scusa per concedersi le ricadute. Ho incontrato molti signori di 50, 60, anche 70 anni che scrivevano che ancora alla loro età non erano riusciti a disintossicarsi, e che la pornografia aveva rovinato tutta la loro vita, dal matrimonio alla relazione con i figli al lavoro. Non è qualcosa da sottovalutare, è una responsabilità da prendere tutta intera, una croce da caricarsi ben bene sulle spalle, solo così a un certo punto la si potrà abbandonare. L’ultima cosa di cui voglio parlare è la confessione. Per un grande periodo di tempo mi sono confessato ogni volta che cadevo, convinto, sotto consigli sbagliati, che ero sempre in peccato mortale a fare ciò. Una volta sentii invece un padre che mi disse che in realtà non ero davvero in peccato mortale per la mia volontà contraria a fare il peccato. Era giusto confessarsi ma non avevo scelto io di essere così e non riuscivo ad avere vero controllo sulla cosa. Mi tolse un grandissimo peso.

In conclusione voglio dire che uscire dalla pornografia si può, e tutto ciò che viene dopo la pornografia è vita. È vera vita. Se tu sei alle prese con questa dipendenza non avere paura, fatti aiutare, parlane con i tuoi amici o con la tua compagna, non tenerti il tuo piccolo segreto per te. impara dai tuoi comportamenti e metti in atto delle strategie per contrastarli. Scaricati una app come quella che ho scritto sopra, tutto ti sarà di aiuto. Non avere paura di ricaderci, è normale, soprattutto all’inizio. Il cervello ha bisogno di tempo per ricalibrarsi, anche dopo mesi di astinenza. Non credere alle menzogne che ti dice la testa. Rimani in astinenza per un bel periodo, da un anno a due anni e vedrai davvero i risultati. Non biasimarti e non scoraggiarti, siamo fragili, siamo umani, ma la speranza di rinascere c’è e io te lo sto testimoniando. Una volta usciti tutto prenderà colore, promesso.

(1) Nel libro “l’era della dopamina” di Anna Lembke, una psicologa apparsa anche nel documentario di Netflix “The social dilemma”, parla appunto del fatto che ogni dipendenza (ogni dipendenza, anche quella dalla cannabis) porta la persona a sperimentare sempre più ansia e sofferenza proprio perché amplifica i circuiti del piacere, o meglio, li rende meno sensibili al piacere. Se quindi c’è bisogno di uno stimolo maggiore per sentire piacere, basterà un piccolo stimolo per sentire dolore. Più amplifichiamo il piacere da una parte più amplifichiamo il dolore dall’altra.

Fidanzamento casto o bigotto?

Qualche sera fa abbiamo avuto il piacere di passare una serata con gli amici di CattOnerD e siamo stati talmente bene che ci sembrava di essere seduti insieme nello stesso pub per bere e chiacchierare in compagnia.  Il tema era la castità e ne abbiamo parlato in modo libero e spontaneo.

Grazie anche alle interazioni col pubblico prima, durante e dopo la diretta, abbiamo colto come questo tema sia tutt’altro che fuori moda, ma susciti ancora tanti interrogativi e curiosità.

Abbiamo pensato allora di raccogliere qui qualche idea che ci è particolarmente cara, sperando di essere più ordinati e chiari nell’esposizione, e anche un po’ più sintetici, dal momento che la diretta è durata più di due ore e non è detto che tutti abbiano voglia e tempo di riguardarsela (peccato perché c’è da divertirsi ma soprattutto c’è una chicca finale che non vi potete perdere!).

Inizieremo innanzitutto dal dire che cosa NON è la castità.

La castità non è il patentino del bravo cattolico, non è arrivare illibati al matrimonio, non è svalutare la sessualità e il piacere, e non è nemmeno un banale “astenersi”.

Ovvero, detto in altre parole, se abbiamo inteso finora la castità come una regola da applicare o come una “negazione” di una parte di noi, non siamo sulla strada giusta, anzi.

Ce ne siamo accorti anche noi che da fidanzati abbiamo cercato di seguire il “vademecum del perfetto fidanzamento cattolico” e quindi magari sì, se vogliamo guardare alla castità con uno sguardo superficiale, possiamo dire di essere riusciti ad arrivare al matrimonio con la spunta più o meno verde in merito a questo punto, peccato che avessimo capito poco o nulla del suo vero significato.

Conoscevamo e condividevamo le ragioni razionali per cui valeva la pena aspettare il matrimonio per donarsi totalmente (perché se no ti leghi e non sei libero di capire se è la persona per te, perché solo nel matrimonio ti giochi realmente la vita, ecc…), e abbiamo quindi cercato di fare del nostro meglio per stare nelle regole. Questo però ci faceva sentire “a posto”, “bravini”, innescando in noi un certo senso di superiorità e facendoci perdere di vista che il cuore della castità non è tanto rimandare il dono di sé nel corpo, quanto imparare con gradualità a donarsi totalmente senza maschere e ad accogliere totalmente l’altro per come è.

Ed è così che ci siamo ritrovati sposati con il pedigree in ordine, ma ancora molto immaturi, chiusi su noi stessi e carichi di pretese verso l’altro. E ci infastidiva vedere accanto a noi coppie probabilmente meno scrupolose sul piano sessuale, eppure molto più capaci di amarsi e rispettarsi di noi.

Insomma, non avevamo capito la cosa più importante, ovvero che la castità non è sottrattiva ma additiva: non è per privarci di qualcosa ma per aprirci a qualcosa di più grande, di più pieno, di più bello.

La castità in questo senso è l’arte di imparare ad amare nella verità: se non serve ad insegnarci ad amare non serve a nulla.

A che serve arrivare al matrimonio senza aver “consumato”, quando lui non disdegna sbirciatine più o meno prolungate a pornografia o simili, e quando lei si compiace delle attenzioni del collega? L’ipotetica coppia in questione forse metterà il “bollino castità” sulla tessera del bravo cattolico, ma non si può certo dire che ne abbia compreso il senso.

Ma anche la giovane coppietta che si impegna a non avere rapporti prematrimoniali, ma guarda al matrimonio come all’outlet del piacere in cui soddisfare ogni fantasia erotica, non pare essersi troppo sintonizzata sul mistero della castità.

Allo stesso modo anche la coppia che sceglie la castità (leggi astensione dai rapporti) perché fornisce un comodo alibi per non affrontare i loro problemi e le loro paure riguardanti la sessualità, non sta certo vivendo un fidanzamento casto.

Ciò che vogliamo dire è che non basta seguire determinate regole per essere casti. Per quanto tenaci ed intransigenti, non sarà il rispettare una regola che ci insegnerà ad amare. Le regole possono essere un ausilio, ma non dobbiamo dimenticare che in noi amare non è una cosa che viene spontanea. La nostra sessualità (e con essa la nostra capacità di amare) è ferita dagli effetti del peccato originale, ovvero dalla concupiscenza. In ognuno di noi, piaccia o meno, c’è come un’inclinazione a prendere più che a donare, a mettere davanti noi stessi prima degli altri, un’inclinazione che ci porta ad avere uno sguardo frammentato sull’altro.

Comprendiamo quindi che il problema vero non è tanto fare o non fare sesso prima del matrimonio, il problema vero è il nostro cuore (e quindi il nostro sguardo, i nostri pensieri ecc..) che ha un profondo bisogno di redenzione, di guarigione, di essere progressivamente liberato e purificato.

In questo senso, la castità non è solo un obiettivo da coltivare con le proprie scelte e con il proprio impegno, ma è soprattutto un dono di Dio, un dono da chiedere e da accogliere.

La castità allora è un cammino che dura tutta la vita, dove si intrecciano la nostra volontà e le nostre decisioni da una parte, e l’accoglienza della vita nuova dall’altra, la vita redenta che Cristo è venuto a portarci affinché un po’ alla volta il nostro cuore sia purificato, il nostro sguardo sia limpido, il nostro donarci sia sincero, il nostro amare sia “integro” e possiamo desiderare niente meno che il bene.

Oggi possiamo dirlo: riguardo alla castità non ci hanno convinto i ragionamenti, non ci hanno convinto le motivazioni per quanto comprensibili e “laiche”… riguardo alla castità, e oltretutto quando eravamo già sposati, ci hanno convinti la bellezza e la pienezza, quelle che abbiamo trovato nella teologia del corpo.

La castità infatti, svincolata da un discorso più ampio su chi sono io, che significato attribuisco alla mia sessualità, al mio corpo e alla mia vita, rischia di essere fatalmente fraintesa.

Insomma, la castità è un cammino che forse non finiremo mai di percorrere del tutto, quel cammino da cui però ciascuno di noi, qualsiasi sia il suo stato di vita, può sempre ripartire per imparare ad orientare il proprio desiderio sessuale verso l’autentica dignità della persona e la verità dell’amore, fino a dire: “Sono tutto per te”, “Sono tutta per te”, fino ad essere totalmente donato, anima e corpo.

A proposito di porno

Recentemente, su più fronti, siamo stati interpellati sul tema pornografia.

Allo scorso Forum WAHOU un ragazzo ci ha chiesto come poterne uscire, in un’altra occasione una donna sposata ci ha confidato sconvolta di aver scoperto che suo marito guarda abitualmente video porno, ed infine un’amica ci ha condiviso la preoccupazione per il fratello ventenne che sta da pochissimi mesi con una ragazza che gli ha già proposto di guardare (e non solo) porno insieme …

In modo soft ormai la pornografia è diventata una cosa quotidiana, un prodotto stuzzicante e gratuito a disposizione H24 comodamente sui nostri smartphone per riempire i nostri vuoti interiori.

Nonostante i continui tentativi di normalizzarla rendendola un ingrediente di tante cose come serie tv, reality, pubblicità e video musicali, tutti quanti intuiamo tacitamente che nella pornografia c’è qualcosa che non va. Anche chi la difende dicendo che il sesso è una cosa naturale, in fondo in fondo sa che non è poi così naturale avere un incontro intimo col proprio smartphone. Basti pensare che per accedervi occorre uscire dall’ambiente reale delle relazioni sociali e passare, non senza un pizzico di furtività, ad un ambiente virtuale che per pulirci la coscienza abbiamo chiamato: ‘per adulti’.

Purtroppo, ciò che è stato propinato come espressione di libertà contro ogni censura, presenta in realtà un duplice problema: la pornografia fa male ed è un male!

Si, la pornografia fa male, ma fa male a chi?  Di fatto, se non è coinvolto nessun’altro, a chi faccio del male se guardo qualcosa di ‘spinto’ nel segreto della mia stanza?

Fa male a me! Io sono la vittima! E sebbene sul momento ne esca eccitato, non mi rendo conto che la pornografia come un parassita mi sta divorando dall’interno.

Innanzitutto, crea dipendenza. Ci sono sull’argomento numerosi studi neurologici che mostrano come il meccanismo fisiologico che si innesca in chi guarda pornografia è simile a quello di chi assume droghe.

(Vi rimandiamo all’associazione Puri di cuore che si occupa dell’argomento per approfondirne il tema della dipendenza).

Ma non è tutto: la pornografia altera anche il mio immaginario. Non tanto perché spesso mostra rapporti violenti o perversi, quanto perché altera il modo di vedere le altre persone.

Per un uomo che guarda pornografia, le donne cessano di essere persone con una storia, dei sogni, delle ferite, delle attese, ed iniziano a tramutarsi in pezzi di corpo da valutare e da usare. Corpi inanimati su cui fantasticare per il proprio piacere. Per molti questo è il normale sguardo mascolino, ma non è affatto così: questo è uno sguardo pornografico. Un conto è essere attratti dalle donne, altro è uno sguardo che analizza e separa il corpo dalla persona.

Questi sono alcuni degli effetti più nefasti della pornografia, ma se ci fermiamo al dato che la pornografia fa male, rischia di sfuggirci la cosa più importante, ovvero che la pornografia fa male perché è un male.

Un male è qualcosa che indipendentemente dalle circostanze e dalle intenzioni non solo non edifica, ma disgrega la persona allontanandola dalla sua pienezza.

La pornografia però non è un male per il fatto che il sesso è un male, né perché i corpi nudi siano un male.

Qualcuno dice che il male della pornografia è che fa pensare troppo al sesso, ma a ben vedere il sesso viene esibito, consumato, idolatrato, ma non certamente pensato. La nostra cultura pornografica non sa più pensare il sesso. Se sapessimo pensarlo dovremmo chiederci: cos’è il sesso? Che significato ha? Oppure: Chi lo ha inventato?

Da cattolici diciamo: “Dio!” Dio ci ha creati come maschi e femmine e la sua benedizione sull’uomo e sulla donna è stata: “siate fecondi e moltiplicatevi!” (Gn 1,28) ovvero: il desiderio sessuale è buono!

Il desiderio sessuale è quell’energia che nel progetto di Dio ci deve portare ad uscire da noi stessi per fare della nostra vita un dono. Ma quando questo desiderio viene deformato dal male si tramuta in lussuria e allora l’energia del desiderio non è più diretta al dono di me all’altro, bensì all’usare l’altro e al farsi usare dall’altro. La lussuria disgrega così la persona, allontanandola dalla sua dignità.

Karol Wojtyla in Amore e Responsabilità riflettendo sulla differenza tra ‘usare’ ed ‘amare’ scrive:

“La persona è un bene che non si accorda con l’utilizzazione […] La persona è un bene al punto che solo l’amore può dettare l’atteggiamento adatto e interamente valido a suo riguardo”.

Probabilmente tutti abbiamo sperimentato di essere stati usati da qualcuno e certamente sappiamo che non ci ha fatto bene, tutti auspichiamo invece di essere trattati con amore.

Va detto che quando Wojtyla parla di amore non si riferisce a romanticherie di varia natura, ma ha in testa qualcosa di molto chiaro: amare qualcuno è volere il bene di quella persona. Proprio per questo, sempre in Amore e responsabilità, constata come, tanto più l’amore è vero, tanto più il soggetto si sente responsabile della persona.

Possiamo allora cogliere come nella pornografia, tra tutti gli atteggiamenti possibili, l’amore non sia affatto contemplato: le persone sono ridotte ad oggetti bidimensionali che si usano a vicenda per essere usati da chi guarda, nessuno ha cura di nessuno, nessuno è veramente riconosciuto come persona.

Al contrario del cinema dove c’è un messaggio, si racconta una storia, ci sono personaggi interpretati, nella pornografia nessuno è veramente interessato alla trama (quando eventualmente c’è), nessuno si cura del vissuto dei personaggi, del loro stato d’animo… l’obiettivo è uno e uno solo: suscitare la lussuria in chi guarda.

Giovanni Paolo II nelle sue catechesi individua proprio qui il vero problema della pornografia: la pornografia non svela troppo, ma piuttosto svela troppo poco della persona! Il pudore è oltrepassato, violentato e si perde inevitabilmente il mistero della persona e del suo corpo.

Proprio per questo la pornografia è sempre insoddisfacente: ci eccita, ma non è in grado di riempire il vuoto del nostro cuore. La cerchiamo per sentirci vivi, ma ne usciamo tristi, la usiamo assetati di intimità, ma ci ritroviamo sempre più soli, la guardiamo per essere liberi di fare ciò che ci pare ma alla fine ci risvegliamo nella gabbia della dipendenza.

Comprendere che la pornografia è male e fa male, è certamente un primo e insostituibile passo per decidere di affrontare questa abitudine o peggio, dipendenza, e intraprendere un cammino verso un nuovo sguardo e una nuova libertà.