4 MODI PER FARE EDUCAZIONE SESSUALE AI TUOI FIGLI (SENZA PARLARE)

Per fortuna ci sono ancora genitori che si preoccupano dell’educazione sessuale dei propri figli.

Sebbene noi di figli non ne abbiamo, più volte ci sono stati chiesti consigli al riguardo. Le domande spaziavano da «a quale età bisogna iniziare a parlare loro di sesso» fino a «cosa dire a tuo figlio quindicenne che fa uso di pornografia». Probabilmente però la domanda più ricorrente è quella sugli strumenti: «avete del materiale che spieghi come parlare ai figli di sessualità?».

E forse il punto cruciale è proprio questo: parlarne. Ma è solo un problema di come e quando parlarne? È solo un problema di cosa dire? Vediamo di ragionarci un po’ insieme.

Intanto vale la pena sottolineare che va apprezzata questa preoccupazione da parte dei genitori.

Non è scontata: c’è chi si limita a raccomandare l’uso del preservativo (per i figli maschi) e a far prescrivere dal ginecologo la pillola contraccettiva (per le figlie femmine). E crede che sia sufficiente così, tanto al genitore in questione mica gliel’ha insegnato qualcuno come funziona quella roba lì, e tutto sommato se l’è cavata, perché non dovrebbe funzionare così anche per suo figlio/a? (che poi bisognerebbe capire cosa vuol dire che “se l’è cavata”).

E poi c’è il genitore che invece, al comparire del primo fidanzatino della figlia quattordicenne che fino al giorno prima pensava solo ai compiti e alle amiche, va nel panico totale perché il tema dell’affettività e della sessualità gli si paventa davanti all’improvviso come un mostro brutto e cattivo che si presenta senza appuntamento, ma che chiede di essere affrontato. E davanti al quale il genitore in questione si sente terribilmente disarmato.

Ancora, c’è il genitore, per lo più di estrazione cattolica, che vorrebbe tanto parlare di affettività e sessualità al proprio preadolescente o adolescente, ma proprio non sa come fare: vorrebbe trovare le parole ad effetto e gli esempi giusti per trasmettere valori, grandi proposte e ideali, ma non sa da dove cominciare, perché nessuno lo ha mai fatto con lui e l’imbarazzo lo paralizza. E quindi spera tanto che l’argomento venga affrontato in parrocchia, a scuola – a certe condizioni – insomma, spera tanto che qualcuno lo faccia al posto suo, o almeno che gli fornisca gli strumenti, le parole, un piccolo vademecum, qualsiasi cosa, per potersi barcamenare in questa impresa che sente completamente fuori dalla sua portata.

Poi ci sono i genitori che sanno esattamente come cavarsela e quindi non hanno bisogno di leggere questo articolo (o forse sì?).

Cari genitori, capiamo bene la vostra preoccupazione, ma abbiamo una buona – speriamo – notizia per voi. L’educazione sessuale dei vostri figli inizia molto, ma molto prima che il mostro di cui sopra vi bussi alla porta, e una grande parte di questa educazione non richiede sforzi o particolari competenze perché non riguarda cosa dire, né come dirlo, ma riguarda ciò che voi stessi trasmettete con la vostra vita, senza bisogno di discorsi ad effetto o parole di persuasione.

È vero, ci sono tante altre cose che i figli imparano fuori dalle mura di casa o sul web, ma la “parola fatta di carne” che vedono in voi, come singoli e come coppia, è solo vostra, e in quanto tale, insostituibile.

Ecco allora 4 punti su cui potete riflettere innanzitutto per voi stessi e poi per l’impatto che questo ha sull’apprendimento esperienziale dei vostri figli.

1) Come mi sento rispetto al tema della sessualità?

È una domanda importante perché riguarda il tono emotivo con cui, come adulto, mi approccio all’argomento. Se sono a mio agio in questa dimensione della vita infatti, sarò meno spaventato, meno imbarazzato, meno a disagio nel parlarne. Questo permette innanzitutto che la sessualità non sia un argomento tabù in famiglia, ma che possa essere un argomento di conversazione sereno, aperto, senza creare momenti di imbarazzante silenzio o una sottile sensazione di colpa o inadeguatezza. Sereno e aperto non significa rinunciare alla grande dignità e intimità che questo argomento richiede, ma far sì che non alimenti il senso del “proibito” sollecitando emozioni quali la paura (ad esempio la paura di sentire, la paura del piacere, la paura dell’altro sesso…) o il senso di colpa rispetto a sensazioni, risposte corporee, emozioni, del tutto fisiologiche e normali.

Allora, più io come singolo e noi come coppia viviamo bene questa dimensione della nostra vita, più sarà facile trasmettere un messaggio positivo ai nostri figli, un messaggio che passa soprattutto dal sentire e che rende le nostre – eventuali – parole, credibili.

2) Che uomo/che donna sono? Cosa trasmetto rispetto alla mascolinità e alla femminilità?

Educazione sessuale significa anche educare al maschile e al femminile.  È interessante e utile allora, chiedersi che messaggio stiamo trasmettendo rispetto a questo. Come donna e madre, cosa sto trasmettendo ai miei figli, femmine o maschi che siano, rispetto alla femminilità? Cosa mostro loro rispetto all’essere donna? E rispetto alla mia relazione con il maschile? Lo valorizzo o lo svaluto? Le stesse domande valgono anche al maschile, naturalmente.

È un discorso un po’ complesso e variegato ma possiamo tentare di semplificarlo con un esempio, in questo caso al femminile.

Se sono una donna che tendenzialmente subisce nella relazione e si mette sempre in disparte e in secondo piano rispetto al marito, trasmetto un certo tipo di femminilità, che ha in sé questi tratti, e che ha un impatto, per lo più inconsapevole, sui figli. Una figlia femmina, ad esempio, potrebbe ribellarsi a questo modello in maniera rigida, senza potersi mai permettere una posizione conciliante col maschile, oppure potrebbe ricreare la stessa dinamica legandosi a un uomo che la sminuisca e la “domini”.

Ma ciò non vale solo per le figlie femmine: come donna, il mio modo di incarnare la femminilità ha un impatto anche su un eventuale figlio maschio. Infatti, nel nostro esempio, ciò potrebbe condizionarlo sullo sguardo (seppur inconsapevole) che egli avrà rispetto alle donne e alla sua relazione con esse: ad esempio questo figlio, una volta adulto, potrebbe aspettarsi lo stesso atteggiamento di subordinazione da una futura compagna, proprio in quanto donna.

Insomma, il modo in cui come genitori incarniamo la femminilità e la mascolinità, fornisce dei messaggi (impliciti tante volte) su cosa significa essere un uomo e una donna, e questo è un tema fondamentale dell’educazione sessuale, oggi sempre di più.

3) Cosa mostrate/rivelate sul tema della coppia e dell’amore?

Strettamente legato al punto precedente, questo riguarda proprio la vostra relazione di coppia. Che tipo di coppia siete? Una coppia che si ama o che si sopporta? Una coppia dove ciascuno ha i propri spazi o siete una coppia fusionale? Una coppia dove c’è stima reciproca o velata indifferenza? Come vi relazionate l’un l’altro? Con affetto o con freddezza? Cosa circola tra voi rispetto alla vostra unione: rassegnazione o gioia?

Purtroppo o per fortuna tutti questi aspetti trasmettono un messaggio sulla relazione di coppia e su che cos’è l’amore.

Fare esperienza di due genitori che si amano, si rispettano, si dimostrano stima reciproca e si sostengono nei propri progetti personali, fornisce un vocabolario affettivo fondamentale per i figli, fornisce loro un paradigma interiore incancellabile che rimane, nonostante tutti gli altri messaggi che incontreranno nella loro vita. Rimarrà loro dentro l’impronta di come il padre guardava con ammirazione la madre, di come la madre si rivolgeva con tenerezza al padre, di come, per amore, lui si faceva carico di un lavoro domestico e di come lei lasciava a lui, per amore, dello spazio personale per ricaricare le batterie.

In questo caso, l’esperienza che i vostri figli fanno, li tocca molto più di qualsiasi discorso ben confezionato.

4) Come esprimete l’amore attraverso il linguaggio del corpo?

Diretta conseguenza del tema precedente, ma non solo, è l’espressione dell’affettività, soprattutto per quanto riguarda i gesti. Ad esempio, fare esperienza di un padre che non ha paura di abbracciare, accarezzare o baciare la propria donna (e i propri figli naturalmente, ma questo è un altro piano) è una trasmissione fondamentale che passa dal comportamento e non dalle parole. Spesso, quando manca, i figli faticano a farlo a loro volta, e non è questa una parte importante dell’educazione alla sessualità? I gesti della sessualità non sono solo quelli che riguardano il rapporto sessuale: la sessualità è fatta di tantissimi altri gesti quotidiani, che nutrono la coppia di tenerezza, intimità e complicità, e che sono quindi “i preliminari dei preliminari”.

Troppo spesso forse la preoccupazione educativa sembra rivolta solo ai gesti specifici dell’intimità sessuale e non diamo abbastanza importanza all’educare ad esprimere l’amore: questo è parte integrante e basilare di una vera educazione sessuale, che riguarda tutta la persona e tutta la sua capacità di esprimere l’amore con il linguaggio del corpo.

In conclusione, cari genitori, è una bella attenzione verso i vostri figli la preoccupazione nei confronti della loro educazione sessuale. E capiamo la vostra apprensione sul cosa dire loro. Tuttavia abbiamo voluto sollevare questi quattro punti perché troppo spesso la preoccupazione è solo per ciò che i figli respirano fuori casa su questo tema, ma a nostro avviso non si è altrettanti attenti a cosa invece è in vostro potere dentro casa.

Con questo, se non vi sentite dei grandi esempi per i vostri figli, non vogliamo farvi sentire in colpa o sbagliati: sappiamo molto bene che tutti noi abbiamo fatiche, ferite e difficoltà sia personali che di coppia. E sappiamo anche che la realtà è complessa e variegata, e che nessuno vive in una famiglia ideale, anzi.

Il nostro intento è stimolare una riflessione: crediamo infatti che la cosa importante sia sapersi mettere in discussione e non rinunciare a crescere insieme ai propri figli, qualunque sia la nostra situazione di vita.

Amare non è da supereroi (ft. Coldplay)

La musica ha uno straordinario potere di toccare le corde del nostro cuore. Credo che ciascuno di noi abbia potuto sperimentare la potenza di certe melodie e l’energia che si sprigiona quando c’è il mix giusto di parole e musica.

Come abbiamo già avuto modo di dire, gli artisti, quelli veri, a volte hanno la capacità di far emergere alcuni tratti della nostra umanità con una limpidezza paragonabile a quella di un corso di antropologia, e credo che i Coldplay siano tra questi.

Da quando è uscita, Something Just Like This mi ha subito catturato. Inizialmente, lo confesso, per il suo sound coinvolgente, d’altra parte il mio primo approccio alla musica inglese è sempre un po’ alla Alberto Sordi di Un americano a Roma (orait orait… awanagana…).

Poi però, entrando nel testo e comprendendo le parole, mi sono reso conto come nasconda un inno ad una mascolinità liberata da tanti condizionamenti.

Ho letto vecchi libri

Le leggende e i miti

Achille e il suo oro

Ercole e i suoi poteri

Spiderman e la sua abilità

E Batman con i suoi cazzotti

E chiaramente non mi vedo su quella lista

Chris Martin attacca parlando dei miti, dei modelli eroici di uomo che hanno sempre percorso la storia da Ercole ed Achille fino a Batman e Spiderman, gente con i super poteri, per poi osservare, con una delusione percepibile, come il suo nome  (così come il nostro) non sia su quella lista.

È purtroppo esperienza comune a tutti noi maschi il doverci rapportare a modelli di maschile che sono fuori dalla realtà. Quando va bene sono un misto tra Ercole e Batman, ma più frequentemente sono i modelli del vincente, del personaggio di successo, dell’uomo di potere… probabilmente, ognuno di noi ha più o meno consapevolmente un “modello tossico” al quale si ispira e quanto è importante poterlo riconoscere.

È strano: riconosciamo che dentro di noi abita un’aspirazione a grandi imprese, sogniamo che il nostro nome venga conosciuto, ricordato, amato, desideriamo che su di noi si posi uno sguardo benedicente; eppure, accanto a questa profonda aspirazione, quando entriamo in contatto con noi stessi riconosciamo anche tanta fragilità e insicurezza. Ed ecco allora che nel nostro cuore maschile si affaccia lo spettro dell’inadeguatezza, il timore di non essere all’altezza.

Di fronte a questi contrasti ci ritroviamo confusi, disorientati e spesso finiamo per credere che esistano soltanto due possibilità: o avvicinarci a tutti i costi al modello che abbiamo in testa con sforzo e determinazione, oppure rinunciare e vivere nell’ombra accontentatoci di cose mediocri e riempiendoci di distrazioni. In un caso, l’aspirazione si trasforma in presunzione: “devo farcela”, nell’altro in rinuncia: “non posso farcela”.

Nel primo caso finiremo davvero per indossare qualche costume o maschera per nascondere il nostro vero volto, i nostri limiti e le nostre fragilità; nell’altro indosseremo soltanto cinismo e rassegnazione per difenderci dall’anelito del nostro cuore.

Ma queste due soluzioni non possono che starci strette ed appesantirci e così, capita allora che nel profondo del nostro cuore avvertiamo una grande sete di autenticità che ci parla attraverso il disagio e l’inquietudine.

In mezzo a tutta questa confusione poi, ad un certo punto, Chris Martin ci parla di una voce. Una voce che fa domande scomode: Dove vuoi andare? Quanto sei disposto a rischiare?

È una voce femminile, la voce di chi guarda a noi da fuori di noi, perché differente da noi.  E proprio questa voce ci rivela una terza strada, una verità vitale per la nostra vita maschile:

Non sto cercando una persona con i superpoteri

Qualche supereroe

Qualche storia da favola

Vorrei soltanto qualcuno a cui potermi rivolgere

Qualcuno da poter baciare

Tutto intorno a noi ci porta a pensare che per essere qualcuno, per essere desiderabili, dobbiamo essere tipi tosti, gente di successo con il bicipite scolpito, il six pack e il look giusto… ma in realtà il cuore femminile non attende alcun supereroe. Il cuore di una donna attende solamente qualcuno di reale a cui rivolgersi, qualcuno da amare, qualcuno da baciare, qualcuno con cui condividere lo stesso respiro, la vita più intima.

L’amore è la cosa più grande, l’unica capace di rendere la vita, Vita (citando il titolo del Campus by Night 2021). È questo ciò che attende il nostro cuore, e la bella notizia è che per amare non serve essere supereroi. Ecco allora che possiamo piano piano deporre le maschere e lasciarci liberare da tante difese, per accoglierci così come siamo belli e miseri, ma unici.  

Avverto però come queste parole non ce le rivolga soltanto il cuore femminile.

Sono parole che ci rivolge anche il Signore Gesù, lo Sposo del nostro cuore. Cristo canta per noi attraverso queste note perché non ne può più dei nostri apparati di rappresentanza, del nostro perfezionismo e delle nostre finzioni. Cristo è lì alla porta del nostro cuore e continua a sussurrarci: non devi essere un supereroe, non devi essere perfetto, mi basta ciò che realmente sei. Non devi nascondere i tuoi limiti perché la mia forza si manifesta nella tua debolezza!

Che grazia scoprire che non dobbiamo essere nulla di mitologico o di fantascientifico per meritarci il suo amore, gli basta che siamo noi stessi, che siamo qualcuno a cui potersi rivolgere. 

E che meraviglia vedere come, ancora una volta, l’amore umano è capace di spalancarci le porte dell’amore divino.

Se vuoi approfondire il mistero della tua mascolinità e della femminilità leggi il libro che abbiamo scritto per condividere ciò che finora abbiamo scoperto: Il cielo nel tuo corpo

Cinema & teologia del corpo: Jojo Rabbit

Chi di voi ha visto Jojo Rabbit? Se non lo avete visto, il consiglio è di rimediare al più presto.

È un film bellissimo, esilarante e serio, profondo e divertente. A noi è piaciuto talmente tanto che dopo averlo visto al cinema con i nostri nipoti, siamo tornati a vederlo anche in questi giorni, sotto le stelle, in uno di quei cinema all’aperto di paese, deliziosi e un po’ all’antica.

Dopo aver frequentato i corsi di Christopher West negli USA al TOB INSTITUTE, ogni tanto, quando guardiamo un film, cerchiamo i “semi del verbo”. Christopher infatti ad ogni corso propone sempre la visione di un film, ma non una pellicola a tema religioso, tipo Gesù di Nazareth o I dieci comandamenti, bensì un film hollywoodiano, “insospettabile” per così dire, dove chiede di prestare particolare attenzione ai messaggi profondi che si possono cogliere, che rimandano alla fede e alla teologia del corpo. Proprio come abbiamo letto domenica infatti, è convinto che grano e zizzania crescano inevitabilmente assieme, e che quindi, piuttosto che rigettare ciò che è “mondano”, valga piuttosto la pena riconoscere in ogni cosa i semi del verbo, piccole tracce di verità che si possono cogliere anche al di là di quello che è l’intento consapevole del regista o dello sceneggiatore.

Jojo Rabbit da questo punto di vista ci è sembrato particolarmente stuzzicante.

Il film è ambientato in Germania durante la seconda guerra mondiale, all’epoca quindi del nazismo. Il protagonista del film infatti, un bambino di 10 anni, sta per partecipare ad un weekend di training per la gioventù hitleriana, di cui sta entrando orgogliosamente a far parte, tanto che ha per amico immaginario niente meno che Hitler, interpretato in maniera caricaturale nonché magistrale dal regista Taika Waititi.

«Oggi tu diventi un uomo» questo è quello che si dice Jojo prima di partire e questo è l’asse portante delle nostre riflessioni: cosa significa diventare un uomo? Questa è infatti una delle domande-chiave a cui vuole rispondere la teologia del corpo.

Al campo di formazione per giovani nazisti, diventare un uomo significa imparare ad usare il pugnale, la pistola e a lanciare una bomba a mano, significa odiare (gli ebrei), ma significa soprattutto imparare ad uccidere e a combattere per uccidere. La scena più significativa qui è quando Jojo viene preso in giro perché ritenuto codardo e deve dimostrare di non esserlo uccidendo un coniglio, cosa che non farà e che gli costerà l’appellativo di “Jojo coniglio” appunto.

Ma diventare un uomo è proprio questo?

Per diventare uomini c’è bisogno di confrontarsi con l’uguale (il maschile) e con il differente (il femminile), e questo film ci offre degli spunti molto interessanti su questo.

Jojo non ha il padre, che è impegnato al fronte, e nel rapporto con l’amico immaginario Hitler si avverte tanto il suo bisogno di una figura paterna con cui confrontarsi e che creda in lui. Nel vuoto della presenza reale però, tale figura immaginaria è idealizzata, tanto da rendere il piccolo Jojo un vero e proprio fanatico nazista desideroso di compiacere il suo Hitler.

Al campo di formazione incontra però una nuova figura maschile: il capitano Klenzendorf, personaggio pittoresco e discutibile a cui una menomazione fisica, dovuta ad una ferita di guerra, ha interrotto bruscamente i sogni di carriera militare e ridimensionato significativamente il feeling con l’ideologia nazista. Sarà lui che, a dispetto delle attese, nel corso del film si preoccuperà per Jojo, lo proteggerà, arrivando infine a fare un gesto dal profondo valore paterno: sacrificare la sua vita per quella del piccolo.

La madre (Scarlett Johansson) è la figura chiave per il piccolo Jojo, è lei a donargli nelle parole e nei fatti un prezioso insegnamento sull’amore. Nei dialoghi tra i due infatti lei gli consegna alcune frasi-chiave che spetterà a Jojo verificare e fare proprie nel corso della vita: «L’amore è la cosa più forte al mondo» e «La vita è un dono e dobbiamo celebrarla». Tali dichiarazioni non rimangono però frasi sospese e astratte, perché la madre ha accolto segretamente nella loro casa una ragazza ebrea, Elsa, testimoniando così con la sua stessa vita cosa significa l’amore e perché vale la pena vivere (qui non posso svelare oltre se non avete visto il film).

E sarà proprio nel rapporto con Elsa, di cui scopre di nascosto l’esistenza, che Jojo imparerà a fare i conti con la realtà dell’altro, che non è più un fantasma ideale contro cui combattere, ma è una persona concreta, con i suoi sentimenti e i suoi bisogni, e a cui infine si affezionerà fino ad innamorarsene.

Andando verso una conclusione, possiamo allora dire che questo film ci può regalare alcuni importanti spunti su cosa significa essere padri: insegnare a offrire la propria vita, e su cosa invece significa essere madri: insegnare ad accogliere la vita.

Grazie all’aver fatto esperienza di un padre e di una madre Jojo, alla fine del film, potrà finalmente liberarsi dell’amico immaginario Hitler, che non gli serve più, dato che ha sperimentato una paternità reale, ma soprattutto ha imparato cosa significa davvero diventare uomo.

Nelle ultime scene infatti, Jojo, che è innamorato di Elsa, può decidere se farle credere che la Germania ha vinto la guerra, trattenendola così con sé, oppure se dirle la verità, lasciandola libera di uscire dal suo nascondiglio, a costo di perderla. Jojo sceglie di dirle la verità e di lasciarla libera, dimostrando di aver imparato nonostante i suoi dieci anni e mezzo ad amare nel modo più sublime: mettere davanti la felicità dell’altro e lasciarlo libero.

Ecco cosa significa diventare uomo: imparare ad amare e fare ciò che si ha in potere di fare per amore, anche contro il proprio stesso interesse.